Intervista
Docente dell’Università di Parma, studioso nel Novecento italiano ed europeo, lo storico Giorgio Vecchio mette in guardia dalle prese di posizione della politica rispetto alla memoria condivisa. Segnala pregi e limiti della Risoluzione del Parlamento Ue approvata in occasione dell’80° del secondo conflitto mondiale. “L’errore più clamoroso? Far risalire al patto Ribbentrop-Molotov del 1939 la causa scatenante della guerra”
L’errore più clamoroso? “Quello che fa risalire al patto Ribbentrop-Molotov del 1939 la causa scatenante della seconda guerra mondiale”. Ma non è l’unico punto debole – accanto ad aspetti positivi – della recente risoluzione approvata dal Parlamento europeo in occasione dell’80° anniversario dell’inizio del conflitto. Abbiamo chiesto un parere a Giorgio Vecchio, storico contemporaneista dell’Università di Parma. Fra i suoi studi, sono noti in particolare quelli sull’Italia e l’Europa del Novecento, sul processo di integrazione europea, sulla storia del movimento cattolico e sulla Resistenza. Vecchio è inoltre presidente del Comitato scientifico della Fondazione Don Primo Mazzolari.
Professore, la risoluzione approvata a Strasburgo ha suscitato clamore, contestazioni politiche, dibattito fra gli studiosi. Il confronto si è focalizzato in particolare sul fatto che il testo parificherebbe nazismo e comunismo. In realtà la risoluzione è piuttosto articolata. Quali, a suo avviso, gli eventuali aspetti positivi?
Vorrei anzitutto fare una premessa. Sono molto dubbioso sull’opportunità che organismi politici rappresentativi varino mozioni o addirittura leggi per governare la memoria storica. Ciò porta infatti a due possibili esiti: o a un colpo di mano della maggioranza del momento, che impone una sua verità, oppure a un compromesso che scontenta tutti. In ogni caso la vittima sacrificale è la complessità della storia. Invece che strumentalizzare la memoria storica, i politici dovrebbero favorirne lo studio serio. Per intenderci: fare il contrario di quello che hanno fatto, senza distinzione di colore politico, tutti gli ultimi governi italiani. E veniamo alla Risoluzione del 19 settembre del Parlamento europeo: è frutto di un compromesso, come dimostra l’oscillazione nell’uso dei termini “comunista” e “stalinista”, che – in tutta evidenza – sono sovrapponibili soltanto in parte. Mi si chiede degli aspetti positivi del documento. Beh, sono chiaramente quelli che denunciano e condannano il risorgere di movimenti “apertamente radicali, razzisti e xenofobi” che “fomentano l’odio e la violenza all’interno della società, per esempio attraverso la diffusione dell’incitamento all’odio online, che spesso porta a un aumento della violenza, della xenofobia e dell’intolleranza”. O, ancora, quelli che condannano “il revisionismo storico e la glorificazione dei collaboratori nazisti in alcuni Stati membri dell’Ue”. Va bene, naturalmente, anche l’invito “a fare tutto il possibile per garantire che gli orribili crimini totalitari contro l’umanità e le gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani siano ricordati e portati dinanzi ai tribunali, nonché per assicurare che tali crimini non si ripetano mai più”.
Quali, invece, i limiti o – se ve ne sono – gli “errori” storici del documento passato in emiciclo?
L’errore più clamoroso, sottolineato da molti, è quello che fa risalire al patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939 la causa scatenante della guerra, con l’implicita accusa all’Unione Sovietica di essere corresponsabile della catastrofe. Nulla di più falso. Andiamo con ordine. La seconda guerra mondiale è stata prodotta da una serie di cause, che rimandano alla politica della Germania nazista di Hitler. Le colpe tedesche sono evidenti e nessuno le può negare, anche perché rimandano a un’ideologia fondata sulla preminenza razziale e sulla necessità di sterminare le “razze” corruttrici (gli ebrei) o di rendere schiave le “razze” inferiori (gli slavi e non solo). Però bisogna tirare in ballo anche le responsabilità della Francia, con la sua cecità nel voler imporre a tutti i costi una pace punitiva ed eccessiva alla Germania nel 1919, ponendo quindi le premesse per la ripresa del nazionalismo e del militarismo teutonico. E ancora va citata la stessa Francia, insieme alla Gran Bretagna, con i continui cedimenti nei confronti di Hitler e delle violazioni da lui compiute dei trattati internazionali. Fino all’ultimo, le democrazie occidentali non diedero alcun segnale di voler difendere realmente i Paesi dell’Est che erano già stati aggrediti (la Cecoslovacchia) o che stavano per essere aggrediti (la Polonia).
E Stalin?
Stalin operò con indubbio realismo, sapendo che dopo la Polonia sarebbe toccato a lui. Il patto dell’agosto 1939 fu un modo per prendere tempo e per vedere cosa sarebbe successo, intanto che l’Urss si preparava a una futura probabile guerra. Certo, il patto garantì per il momento Hitler, che ebbe le mani libere sulla Polonia e verso l’Occidente. Ma, come si vede, le cose erano molto più complesse di quanto il Parlamento europeo voglia far apparire. E veniamo alla equiparazione tra nazismo e comunismo. Anche in questo caso le cose sono complicate. Risolviamo per prima cosa la questione dell’imperialismo sovietico nei confronti degli altri Paesi dell’Europa centro-orientale. La nostra condanna è chiara e netta (e lo dico ricordando con quale passione seguii, da diciottenne, le speranze e poi la repressione della “primavera di Praga”, nel 1968). Però… bisogna anche guardare le cose da un’altra prospettiva. La Russia/Urss era stata attaccata dai tedeschi in due guerre mondiali, si era vista circondata da Stati autoritari di destra, era stata invasa anche da truppe ungheresi, romene, finlandesi, oltre che italiane. La condanna della brutalità della politica estera sovietica non deve far dimenticare che la prima reale preoccupazione di Stalin era quella difensiva. Anche se ciò si concretizzò nella spartizione della Polonia e nella occupazione dei Paesi baltici e di altri territori. I sovietici pensavano di potersi difendere in futuro solo creando al proprio fianco degli Stati satellite (o “cuscinetto”).
Quanto ai due sistemi politici, visti nel loro complesso?
Ciò che li ha accomunati è stata la continua, persistente, innegabile violazione dei più elementari diritti umani, tra i quali anche la libertà religiosa. Penso non soltanto alle chiese cristiane, ma anche ai musulmani e, in modo particolare ai Testimoni di Geova, che seppero dare robuste testimonianze di fede tanto in Germania quanto in Unione Sovietica. Però le distinzioni vanno fatte! L’ideologia sovietica non mirava di per sé all’eliminazione fisica di intere “razze”, né puntava a creare popoli schiavi. Il sistema del gulag comportò la sofferenza e la morte per milioni di persone, ma rimaneva in auge l’idea di un “recupero” dei prigionieri (ciò che in vari casi avvenne), a differenza dei lager nazisti. Bisognerebbe avere più tempo per mostrare le affinità e le differenze tra i due sistemi repressivi… Infine, non si può dimenticare che il 22 giugno 1941 fu la Germania ad aggredire l’Urss, che in quattro anni subì la perdita di oltre 20 milioni di cittadini. Venti milioni! Ma è anche grazie al loro sacrificio che la Germania fu fermata a Stalingrado, ben prima che i soldati americani mettessero piede in Sicilia e poi in Normandia.