Canonizzazione
John Henry Newman “patrono dell’ecumenismo”? A ventilare al Sir la possibilità è il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e successore del prossimo santo inglese – che verrà canonizzato il 13 ottobre da Papa Francesco – nella diaconia di San Giorgio al Velabro. Profonda la “sintonia” con alcuni aspetti del magistero di Bergoglio, sostiene il porporato, ad esempio per l’invito ad ascoltare il “fiuto” del “santo popolo di Dio”. “Per Newman la phrònesis è una teologia”, spiega Ravasi
Cos’hanno in comune un Papa sudamericano e un cardinale, futuro santo, che viene dalle brume inglesi? Apparentemente ben poco, ma se si guarda più in profondità molto di più. A spiegarlo al Sir, alla vigilia della canonizzazione di John Henry Newman, è il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e successore di Newman nella diaconia di San Giorgio a Velabro.
Qual è il significato della canonizzazione del card. Newman, che Papa Francesco ha collocato a metà del Sinodo per l’Amazzonia?
Bisogna ricordare che tutto inizia con Benedetto XVI, che lo ha beatificato in Inghilterra, tenendo conto – da teologo – del portato della sua teologia. Lo sviluppo del legame con Papa Francesco è da cercare nell’interesse verso una sua opera imponente, la Grammatica dell’Assenso, in cui Newman analizza tramite una riflessione sistematica la struttura dell’assenso della fede, che prevede un percorso che è insieme di tipo razionale, teologico, etico e proprio della coscienza. Centrale, nell’itinerario proposto da Newman, è il concetto di phrònesis, a mio avviso molto in sintonia con il magistero di Papa Francesco. In Newman, infatti, esiste un assenso alla fede che non è soltanto affidato al rigore intellettuale: c’è anche una dimensione più simbolica, rappresentata appunto dalla phrònesis, che dimostra come noi conosciamo non soltanto attraverso il canale alto e nobile della razionalità, della logica formale. La persona semplice può essere la sede di una conoscenza di fede, con un proprio percorso e con un suo organo investigante. Per Newman, insomma, la phrònesis è una teologia.
Uno degli scritti più importanti del futuro santo è “Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina”, che ha suscitato fin dalla sua pubblicazione aspri dibattiti. Corre lo stesso rischio anche Bergoglio, quando non si stanca di raccomandare di ascoltare il “fiuto” del “santo popolo di Dio”?
Si dice che Newman sia il “padre assente” del Concilio, ma in realtà anticipa ciò che poi conterranno la Gaudium et Spes e la Lumen Gentium: c’è un sensum fidelium che è qualcosa che coinvolge il teologo, ma ha un respiro più corale, più orizzontale. Per questo Newman è in sintonia con Papa Francesco, che non affida il suo magistero soltanto alle affermazioni dogmatiche o all’elaborazione strettamente teorica o teologica, ma ad un messaggio spiritualmente fondato che comprende anche l’aspetto specificamente legato al respiro della gente comune. La devozione mariana, la spiritualità del quotidiano, la dimensione sociale sono parte del respiro della fede, di quel sensus fidelium che anche Newman includeva nei criteri di verifica della dottrina, pur nel solco della tradizione.
Sono stato sempre un po’ sorpreso dal fatto che Newman, abbracciando la fede cattolica, abbia scelto la Congregazione fondata da San Filippo Neri: per la sua caratura, ci si sarebbe potuti aspettare che sarebbe diventato, ad esempio, un gesuita. Quello che ha conquistato Newman, come ha rivelato lui stesso, è stata la dimensione dell’umiltà e della gioia umile di Filippo. E la sua solarità, che risultava affascinante per un uomo abituato a vivere nelle brume della Gran Bretagna.
Ha saputo coniugare il rigore solenne degli inglesi, il forte senso etico presente nell’anglicanesimo, con l’atteggiamento di compassione, di vicinanza, di ascolto della gente tipico della tradizione oratoriana. E poi il senso dell’amicizia. Accanto alla sua porta di casa, a Birmingham, fece incidere una lapide con su scritto: “Benedizione agli amici che alla mia porta, senza essere chiamati, senza essere sperati, sono però venuti”.
Il 13 ottobre è una data importante anche per la Chiesa anglicana. Si può immaginare Newman come “patrono dell’ecumenismo”, per la sua capacità di essere “ponte” tra le due chiese?
La sua conversione al cattolicesimo, a 44 anni, è rimasta sempre incisa nella sua vita come una svolta, che però non gli ha fatto mai rinnegare il passato. Come documentato dall’Apologia pro vita sua, quando Newman ha lasciato la chiesa anglicana ha voluto dimostrare che la conversione non è necessariamente un rinnegamento, ma un’apertura verso un nuovo orizzonte. Ora, con l’Anglicanorum Coetibus, questa concezione viene accettata tranquillamente anche dalla chiesa anglicana: il passaggio ad un’altra chiesa non va necessariamente concepito come un transito globale, ma come una scelta che si compie nel nome di un grande rispetto e amore per la tradizione, che va di pari passo con l’apertura ad un nuovo orizzonte.
Newman è stato un “ponte” per un ecumenismo non eccessivamente irenico o legato alle questioni dottrinali, ma più profonde.
Un ecumenismo non sempre e solo fatto per un dialogo “sul crinale”, ma capace di scendere sul versante dell’altro e viceversa, invitando l’altro a scendere e a visitare a sua volta. “Cor ad cor loquitur”, come recita il suo motto.