Dopo sentenza Cedu
“Non sono del partito che considera la decisione della Corte europea dei diritti umani un guaio, né di quello che concederebbe benefici in qualsiasi caso”, spiega Mirabelli. Per concedere benefici a detenuti, condannati per reati di mafia, secondo l’esperto, è necessario che il percorso rieducativo ci sia stato e sia stato efficace. La Cedu, ieri, ha rigettato il ricorso del governo italiano contro una sentenza del 13 giugno scorso con la quale una sezione della Corte aveva considerato ammissibile il ricorso avanzato nel dicembre 2016 dal detenuto per mafia Marcello Viola e stabilito che c’era stata una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani, secondo il quale “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Ora, sostiene Mirabelli, servirebbe una legge che precisi limiti e modalità con cui può essere provata la “non più appartenenza” alla mafia della persona che chiede i benefici
L’Italia deve riformare la legge sull’ergastolo ostativo. Per la Corte europea dei diritti umani (Cedu) il nostro Paese, infatti, ” viola i diritti umani”, impedendo al condannato di reati particolarmente gravi, per esempio mafia e terrorismo, di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia. L’ergastolo ostativo è stato introdotto in Italia con la legge numero 356 dell’agosto 1992, nei mesi successivi alla morte dei magistrati Falcone e Borsellino. La sentenza di martedì 8 ottobre della Cedu respinge il ricorso del governo italiano, confermando la condanna emessa lo scorso 13 giugno, quando aveva considerato ammissibile il ricorso avanzato nel dicembre 2016 dal detenuto per mafia Marcello Viola e stabilito che c’era stata una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani, secondo il quale “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Molte sono state le reazioni negative a questa decisione della Cedu. A Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, abbiamo chiesto un parere.
Qual è il motivo della contesa?
La finalità della pena è afflittiva, ma deve tendere anche alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato. Questo è previsto dall’articolo 27 della nostra Costituzione. La Convenzione europea stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti inumani o degradanti. La Cedu doveva decidere se un condannato per mafia, dopo aver scontato oltre 27 anni di pena, potesse essere ammesso ai benefici. Il divieto di concederli, in particolare la semi libertà, è dovuto all’esclusione assoluta di questi benefici quando la condanna derivi da reati di terrorismo o di appartenenza alla criminalità organizzata di stampo mafioso e non ci sia stata collaborazione con la giustizia, come nel caso di Viola. Ma per la Corte di Strasburgo, ci sono casi nei quali non è possibile questa collaborazione che pretende la legge italiana.
Cosa significa?
La Corte ha stabilito che non possa esserci un divieto così assoluto che non consenta al giudice di valutare se effettivamente la pericolosità è venuta meno perché non c’è più appartenenza alla cosca mafiosa. Mentre la collaborazione alla giustizia significa in sé che la persona ha abbandonato la cosca mafiosa ed è in contrasto con la stessa, la prova che questo si sia verificato anche senza collaborazione dovrà essere fornita dal condannato. In sostanza,
si deciderà caso per caso, sotto la responsabilità del giudice dell’esecuzione penale.
Rispetto a questo aspetto, la decisione è condivisibile e non sconvolgente, purché non ci sia un atteggiamento lassista, attribuendo benefici a persone che hanno capeggiate cosche mafiose e continuano sostanzialmente a gestirle.
Ma quali condizioni dovrebbero verificarsi per avere, in modo corretto, questi benefici?
Occorre che ci sia un effettivo cambiamento.
La rieducazione non è solamente il trascorrere del tempo. Allora, condizione necessaria deve essere che il percorso rieducativo ci sia stato e sia stato efficace. Perciò, non sono del partito che sostiene “che guaio” la decisione della Cedu né di quello per il quale “i benefici devono essere concessi comunque”. Non dimentichiamo i casi di mafiosi che sono riusciti a tenere le fila della loro cosca dal carcere; ma anche che un carcere senza speranza non è coerente con la Costituzione italiana e con la Convenzione europea. È, quindi, un terreno difficile, ma è un percorso che va fatto.
Qualcuno ha sostenuto che concedere i benefici ai mafiosi significa tradire la memoria di chi ha perso la vita per combattere la mafia, come Falcone e Borsellino: lei che ne pensa?
Questi eccezionali servitori dello Stato che hanno pagato con la vita il loro impegno vanno ricordati con grande rispetto, ma
questa memoria si coltiva con un’efficace lotta alla criminalità organizzata.
Perciò, ripeto: se questa sentenza apre a un atteggiamento lassista hanno ragione quelli che contestano; se apre a un atteggiamento giustamente rigoroso, ma con una possibilità di reinserimento sociale di chi ha davvero abbandonato la criminalità organizzata, questo è positivo. Sarebbe inumano lasciare dentro detenuti, una volta appartenuti alla criminalità organizzata, che in carcere hanno studiato, si sono laureati e sono oggi totalmente lontani dalla vita precedente.
Quali sono le conseguenze concrete dopo la decisione della Corte di Strasburgo?
Ci potrebbe essere un’interpretazione più aperta delle norme, del resto già la Corte costituzionale aveva allargato alcune maglie. Ora sarebbe opportuna una legge che precisi limiti e modalità con cui può essere provata la “non più appartenenza” alla mafia della persona che chiede i benefici. Non è cancellato il carcere cosiddetto “duro”, è cancellata l’impossibilità per il condannato di provare che, nonostante la mancata collaborazione con la giustizia, non vi sono più elementi di pericolosità.