Politica
L’esperienza maturata negli anni intercorsi dal referendum del 23 giugno 2016 suggerisce che i colpi di scena sono dietro l’angolo. Ce ne sono stati tanti dai giorni di Theresa May a quelli dell’attuale primo ministro Boris Johnson. Al momento la Brexit resta un giallo degno di Sherlock Holmes. E solo la sua flemmatica compostezza potrebbe risolverlo schioccando le dita: “Elementare Watson”
È una telenovela infinita quella che da oltre mille giorni tiene in ballo il Regno Unito, spaccato sulla questione Brexit. L’Unione con l’Europa si sfalderà davvero nella notte delle zucche, il 31 ottobre, data per l’uscita con o senza accordo?
L’esperienza maturata negli anni intercorsi dal referendum del 23 giugno 2016 suggerisce che i colpi di scena sono dietro l’angolo.
Ce ne sono stati tanti dai giorni di Theresa May a quelli dell’attuale primo ministro Boris Johnson.
Gli ultimi: il 17 ottobre Johnson ha raggiunto il sospirato accordo con Bruxelles, ma due giorni dopo, sabato 19, con una mossa a sorpresa, il Parlamento inglese non lo ha né promosso né rifiutato: ha invece votato un emendamento per chiedere all’Ue un ulteriore rinvio (31 gennaio). Il tutto mentre per le strade della capitale il popolo del “Remain” sfilava dimostrando tutta la contrarietà alla scissione. Poche ore ancora, ecco le lettere spedite da Johnson a Bruxelles che non poca meraviglia hanno destato: due da lui non firmate (a dimostrazione che si trattava di un atto formale non condiviso) e una firmata, nella quale dava per certa la soluzione del busillis nei tempi previsti, tanto che lo stesso aveva già fissato di tornare in Parlamento lunedì 21 ottobre. Ma il 21 il presidente della Camera ha rifiutato di andare al voto, ritenendo che non vi fosse nulla di nuovo da discutere.
Cosa succederà adesso? Volendo Johnson arrivare alla Brexit (aveva persino pensato di chiudere il parlamento per cinque settimane pur di riuscirci senza ostacoli), è prevedibile che il suo governo cercherà di far approvare in tempi stretti le leggi attuative dell’uscita dall’Ue (ultima richiesta del Parlamento), così da ripresentare l’accordo in un contesto nuovo e ritornare al voto. Intanto, anche l’Ue si muove: lunedì 28 ottobre è convocato a Bruxelles un vertice straordinario sulla Brexit.
Le ore sono concitate: i destini di oltre sessanta milioni di abitanti del Regno Unito si giocheranno per un pugno di voti. Ed è chiaro che tanto il referendum sulla Brexit quanto il contro referendum invocato dagli oppositori continuano a scaldare gli animi di chi si dichiarò a favore (Inghilterra 53% e Galles 52%) come di chi si dichiarò contro (Irlanda del Nord 55,78% e Scozia 62%).
Gli scenari restano: uscita dall’Unione, nuovo referendum, proroga al 31 gennaio. E neppure la sofferta decisione di Johnson di lasciare l’Irlanda del Nord nell’orbita europea (commercialmente parlando) ha reso in automatico le cose più semplici. Né eliminato tensioni e timori.
Quale che sia la decisione del governo, si prevede un 2020 di transizione: tutto invariato per gli spostamenti di merci e persone; ma – se Brexit sarà – ci sarà da lavorare sodo per erigere dogane e stabilire dazi.
Dovrebbe invece cambiare fin dal 1° novembre la posizione della Gran Bretagna: esclusa subito dalle decisioni dell’Ue, eppure ancora tenuta a rispettare le direttive comunitarie e a contribuire al bilancio dell’Unione, alla quale dovrà versare 40 miliardi di euro: stima del contributo britannico al finanziamento di progetti già assunti dall’Unione.
Insomma, al momento la Brexit resta un giallo degno di Sherlock Holmes. E solo la sua flemmatica compostezza potrebbe risolverlo schioccando le dita: “Elementare Watson”.
(*) direttore “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)