Lotta al terrorismo
Forze speciali americane hanno ucciso tra il 26 e 27 ottobre Abu Bakr Al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico. L’annuncio è stato dato domenica dal presidente Trump. “Un killer brutale e spietato è stato eliminato in maniera violenta, è morto un codardo…”. Della vicenda abbiamo parlato con Claudio Bertolotti, esperto di terrorismo e radicalismo, direttore di Start Insight
“È stata una grande serata: un killer brutale e spietato è stato eliminato in maniera violenta, è morto come un cane, un codardo, ora il mondo è un posto più sicuro”.
Con queste parole il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato, dalla Diplomatic Reception Room della Casa Bianca, la morte di Abu Bakr Al-Baghdadi, il leader dell’Isis (Stato islamico), ucciso tra il 26 e 27 ottobre durante un raid avvenuto nella provincia di Idlib. I soldati Usa, con l’ausilio di 8 elicotteri, hanno circondato il nascondiglio del Califfo, uccidendo chiunque opponesse resistenza armata e portando via anche undici bambini presenti nella struttura. “È morto dopo essere fuggito in un vicolo cieco, piangendo e urlando. Al-Baghdadi si è fatto saltare in aria e ha ucciso tre dei suoi figli che erano con lui”, ha dichiarato Trump spiegando che i risultati dei test del Dna “hanno confermato che il corpo è il suo”. Un raid “impeccabile nel quale non abbiamo perso nessuno. Mentre un gran numero di combattenti di Al-Baghdadi e compagni sono stati uccisi con lui”, ha aggiunto il presidente Usa che per l’operazione ha ringraziato “Russia, Siria, Turchia e Iraq e anche i curdi siriani”. “Continueremo a perseguire i terroristi”, ha concluso Trump. Non è la prima volta che viene annunciata la morte del capo dell’Isis, sempre smentita. L’annuncio del presidente Usa ora fa scendere il sipario sul terrorista più ricercato al mondo. Ma non sul terrorismo che si alimenta dell’ideologia del Califfato.
Ne abbiamo parlato con Claudio Bertolotti, esperto di terrorismo e radicalismo, direttore Start Insight, organismo che si occupa di temi geopolitici, tra i promotori di Osservatorio React, l’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo. “Il futuro del terrorismo di matrice Jihadista” sarà il tema di un convegno che si svolgerà il 29 ottobre, presso la Camera dei deputati, per iniziativa, tra gli altri, di Osservatorio React, Europa Atlantica, Cesi e Formiche.
Qual è il significato di questa uccisione eccellente?
Con la morte di Al-Baghdadi si chiude formalmente un capitolo della storia dello Stato islamico in Siria e in Iraq, e se ne apre uno nuovo già teorizzato sin dal 2015 con una natura dematerializzata, deterritorializzata, dove ogni singolo aspirante appartenente allo Stato islamico si sente chiamato in causa a colpire in nome dell’Isis. La morte di Al-Baghdadi, inoltre, segna un nuovo passaggio generazionale . Ora dovrà emergere un nuovo leader che potrebbe unire quel doppio fronte di qaedisti e orfani dell’Isis.
Abu Bakr Al-Baghdadi può diventare un martire da vendicare?
Al-Baghdadi non si fa uccidere ma si uccide nella speranza, da parte sua, forse, di fare il più alto numero di vittime tra i soldati americani.
Lo Stato islamico potrebbe quindi sfruttare questo gesto estremo come esempio da seguire per confermare la propria adesione al jihad come voluto e pensato dal califfo e dai suoi seguaci.
La morte del Califfo potrebbe dunque alimentare l’ideologia jihadista e quel fascino che esercita tra i simpatizzanti del Jihadismo, anche all’estero?
Credo di sì. Lo scontro si è spostato, più che in precedenza, sul piano ideologico. L’ideologia stessa è la ragione della violenza terroristica. L’ideologia cercherà di sfruttare la morte di Abu Bakr Al-Baghdadi come momento di esaltazione dello stesso Stato islamico…
…che oltre al suo leader ha perso anche il territorio che aveva conquistato tra Siria e Iraq…
Come dicevo all’inizio ora si apre una nuova fase. La fine territoriale dello Stato islamico ha portato il movimento a reinterpretare la propria natura originale, basata, da un lato, sulla delocalizzazione e i franchise in Afghanistan – dove è presente nella sua forma più estesa e consolidata – in Libia e in Africa dove operano gruppi cui si sono uniti i reduci fuggiti dal fronte siriano; dall’altro lato l’espansione all’interno dell’arena globale, inclusa l’Europa, in cui le azioni sono lasciate all’iniziativa individuale e delle cellule.
Vede un rischio di formazione di cellule dopo la fuga di molti jihadisti dalle carceri curde, dopo la recente offensiva turca?
Una parte dei combattenti dello Stato islamico fuggiti dai campi di prigionia curdi o che potrebbero fuggire nel prossimo futuro, potrebbero raggiungere l’Europa sfruttando alcune rotte migratorie e canali privilegiati. Penso agli sbarchi fantasma che garantiscono l’approdo sicuro a fronte di un pagamento molto più elevato rispetto a quello pagato dalle centinaia di disperati per salire su barconi malandati. Tuttavia credo che la minaccia principale sia rappresentata da quelli che sono nati e cresciuti in Europa e che hanno aderito all’Isis. A questi deve essere dedicata una particolare attenzione.
Come giudica l’Europa da un punto di vista della sicurezza?
L’Europa è ben fornita in termini di strumenti di contrasto. Nei Paesi europei la sicurezza è stata rafforzata ma gli attacchi emulativi ispirati allo Stato islamico rappresentano una minaccia. Ciò che manca, e in particolare all’Italia, è ancora uno strumento giuridico che dia un contributo su quelle che sono le cause del terrorismo, ovvero la radicalizzazione. Stiamo investendo poco e in modo disarticolato su quei processi che coinvolgono tutti gli attori sociali (dalle scuole ai servizi penitenziari) per prevenire il passaggio allo jihadismo.