Politica
“Solo uno sguardo lungo ci consente di andare incontro al cambiamento, usando bene l’energia che dal vento possiamo trarre”. Ad affermarlo al Sir è Enrico Letta, ex presidente del Consiglio dei ministri e preside della Paris School of International Affairs dell’Università Sciences Po a Parigi
“Di fronte ai profondi mutamenti dell’epoca attuale la naturale reazione dell’uomo è quella di chiudersi e di alzare muri per proteggersi da un vento impetuoso di cui non conosce la direzione. Solo uno sguardo lungo ci consente di andare incontro al cambiamento, usando bene quell’energia che dal vento possiamo trarre”. Ad affermarlo è Enrico Letta, ex presidente del Consiglio dei ministri e preside della Paris School of International Affairs dell’Università Sciences Po a Parigi, in un’intervista sui nuovi scenari che si aprono per l’Italia.
L’immigrazione, il declino socioculturale e la sostenibilità ambientale: sono solo alcune delle sfide che riguardano da vicino l’Italia.
Il nostro è un tempo di trasformazioni profonde che mettono in crisi le certezze acquisite: pensiamo al lavoro che cambia, ai processi di automazione vissuti come una messa in crisi della propria professionalità o alla delicata questione dei flussi migratori.
Cambiamenti che sempre più spesso generano ansia, trovando facili sbocchi in voci che alimentano le paure anziché aiutare a trovare soluzioni.
Credo, quindi, che ci sia bisogno, non solo nel nostro Paese, di formazione politica, buona comunicazione e impegno collettivo per affrontare questi nuovi fenomeni.
Un proverbio cinese da lei citato recita così: “Quando soffia il vento del cambiamento c’è chi alza muri e chi, guardando avanti, costruisce mulini a vento”.
Questo proverbio di millenni fa assume un’accezione forte se si pensa a quanto sta accadendo oggi in Italia. Di fronte ai profondi mutamenti, infatti, la naturale reazione dell’uomo è quella di chiudersi e di alzare muri per proteggersi da un vento impetuoso di cui non conosce la direzione.
Al contrario, è lo sguardo lungo ciò che consente di andare incontro al cambiamento, usando bene quell’energia che dal vento possiamo trarre.
Tuttavia, c’è bisogno di essere predisposti, avere il cuore e la mente aperti per riuscire a cogliere e prendere in positivo ciò che altrimenti viene visto semplicemente come un perturbatore.
Tra i mutamenti più radicali troviamo l’avvento del web e l’emergere di nuovi processi di partecipazione politica. In rapporto a ciò, i social media contribuiscono a consolidare la democrazia rappresentativa o stanno creando piuttosto un modello alternativo?
L’innovazione di cui sono frutto queste tecnologie è fortemente legata all’utilizzo dello smartphone, strumento impressionante in termini di potenza che ha rivoluzionato radicalmente il nostro modo di comunicare e vivere i momenti collettivi. Le recenti mobilitazioni dei giovani a favore della lotta contro il cambiamento climatico lo dimostrano: i social media non sono solo propagatori di odio e di fake news, ma, se usati bene, sono uno straordinario strumento di modernità, progresso e opportunità.
Da qui l’importanza della dimensione formativa.
Non solo: c’è bisogno anche dell’applicazione di regole, in quanto oggi i social media sono uno spazio di dibattito, di propagazione di informazioni e, perciò, devono essere necessariamente regolati, soprattutto quando sfuggono a forme di controllo, che riguardano non tanto ciò che viene detto, quanto la sua “costituzionalità”.
Un impegno, il suo, a favore non solo della politica, ma anche dell’insegnamento. Cosa significa per lei lavorare con i più giovani?
Il mio sguardo si è arricchito e ho imparato a guardare con fiducia e ottimismo al futuro. E tutto questo grazie ai giovani che frequentano l’Istituto di studi politici di Parigi e ai 100 ragazzi italiani dei corsi della Scuola di Politiche che ho fondato 5 anni fa. Si tratta di generazioni straordinariamente positive che dovremmo aiutare a crescere secondo il loro spirito originario.
Mettersi in ascolto, quindi…
Certamente. In quest’ottica, inoltre, è importante anche
non ripetere gli schemi del passato, ma cercare di dare fiducia a questi giovani,
aiutandoli soprattutto nelle forme di comunicazione. Credo che questo valga anche per la Chiesa: bisogna imparare a lavorare nel mondo cattolico con messaggi che parlino al tempo di oggi.