Dal 23 al 26 novembre
A distanza di 8 anni e mezzo dal terremoto, lo tsunami e il disastro della centrale nucleare di Fukushima che provocarono oltre 22.200 morti, sono ancora tanti e poco conosciuti gli effetti collaterali sulla popolazione locale. Caritas Giappone è presente nella zona con un programma di riabilitazione che durerà fino al 2021. Il Papa incontrerà 300 sopravvissuti il 25 novembre a Tokyo, insieme ai volontari e al direttore di Caritas Giappone Isao Tadokoro
(da Tokyo) – L’appello dei sopravvissuti alla triplice tragedia di Fukushima è uno solo: “Non dimenticateci!” Sono passati già 8 anni e mezzo da quel terribile 11 marzo 2011, con il terremoto di magnitudo 9 al largo della costa della regione di Tōhoku, nel Giappone settentrionale, lo tsunami con onde alte 10 metri e il conseguente disastro della centrale nucleare provocato dalla mancanza di energia elettrica che ha impedito il processo di raffreddamento delle acque.
Sono stati oltre 22.200 i morti e i dispersi, e ancora tanti e poco conosciuti gli effetti collaterali sulla popolazione. In questi anni altre 3.723 persone sono morte per malattia.
La zona intorno alla centrale nucleare, subito evacuata per un raggio di 20 chilometri, è oggi una landa desolata con città fantasma. Le case abbandonate sono invase da topi, scimmie ed altri animali selvatici. I terreni sono incolti, le attività produttive ferme. A ridosso dell’area off limits si vedono montagne di sacchi di iuta che contengono la terra e i rifiuti contaminati dalle scorie nucleari, tutti da smaltire. Dove, non si sa. Si stima che ci vorranno altri 30 o 40 anni per eliminare le sostanze radioattive presenti nell’aria.
Ancora 42.000 sfollati. Almeno 42.000 persone sono ancora costrette a stare lontano dalle proprie case. Prima hanno vissuto in rifugi temporanei, lì si erano formate delle comunità, ci si aiutava a vicenda. Poi sono stati spostati in appartamenti dove non si sono trovati bene. I giovani sono partiti a cercare lavoro altrove.
“La solitudine e l’isolamento degli anziani è drammatica e c’è stato un aumento esponenziale di suicidi anche in tarda età”,
rivela Isao Tadokoro, segretario esecutivo di Caritas Giappone, dal suo ufficio al secondo piano della sede della Conferenza episcopale giapponese, a due passi dalla Shiomi Station di Tokyo. Un edificio moderno, alto e grigio, tra altrettante costruzioni anonime che ospitano uffici e aziende.
La Caritas è l’unica organizzazione umanitaria rimasta. La Caritas è stata presente fin dall’inizio in quelle zone ed è l’unica realtà caritativa ancora attiva a Iwate, Miyagi e Fukushima, nella diocesi di Sendai. Mentre tutte le altre organizzazioni umanitarie sono andate via la Caritas continua ad appoggiarsi alle 52 parrocchie della diocesi, dove vivono 9.881 cattolici. I loro interventi sono rivolti a tutti senza distinzioni e anche chi è lontano dalla Chiesa – la maggioranza – li stima per l’affidabilità e qualità del lavoro. “Abbiamo 40 staff presenti in loco e 20-30.000 volontari che in questi anni si sono alternati per portare aiuti – spiega –. Il nostro scopo è accompagnare le persone”.
“Diamo priorità alla salute mentale, perché hanno vissuto choc fortissimi: hanno perso i familiari, le case, molti sono caduti in depressione”.
Discriminazione e isolamento. Ai drammi provocati dalla tragedia si è aggiunta in seguito la discriminazione e segregazione nei confronti dei sopravvissuti:
i bambini sono vittime di bullismo perché ritenuti contaminati dalle radiazioni. I giovani non riescono a sposarsi e hanno paura di mettere al mondo figli malati.
Di recente il governo giapponese, che ha smesso un anno fa di dare i sussidi ai sopravvissuti, ha invitato la popolazione a fare ritorno nella zona, assicurando che è sicura. “È impossibile vivere lì, soprattutto per gli anziani. Non ci sono ospedali, negozi e servizi – precisa Tadokoro –. La maggioranza della popolazione non si fida e non vuole tornare”.
Il governo vuole una Fukushima green. Subito dopo la tragedia le 54 centrali nucleari del Giappone che producevano energia elettrica sono state chiuse. Anche i vescovi giapponesi chiesero con forza l’abolizione del nucleare per scopi civili e tuttora rimangono della stessa opinione. Invece nel frattempo 9 centrali sono state riaperte. I media giapponesi parlano sempre di meno dell’incidente e l’opinione pubblica pensa che tutti i problemi siano oramai risolti. Ma non è così. Anche se è di questi giorni la notizia che il governo giapponese intende riconvertire l’area di Fukushima per la produzione di energie rinnovabili, con fotovoltaico ed eolico.
25 milioni di dollari per gli aiuti. Il programma di riabilitazione di Caritas Giappone, per il quale sono stati raccolti 25 milioni di dollari dalle Caritas di diversi Paesi (compresa Caritas italiana), è stato approntato per 10 anni. Scadrà nel marzo 2021. “Riusciremo a portarlo a termine per le prefetture di Iwate e Miyagi colpite dal terremoto e dallo tsunami – aggiunge il direttore della Caritas, che visita spesso quelle zone -. La popolazione è diminuita, però la vita ha ripreso abbastanza normalmente. Ma nella prefettura di Fukushima la situazione è ancora precaria. Ci vorranno ancora altri anni”.
“Era nostro desiderio portare lì Papa Francesco ma è stato deciso di no, perché troppo rischioso”.
Perciò il Papa incontrerà 300 vittime del triplice disastro a Tokyo la mattina del 25 novembre a “Bellesalle Hanzomon”, prima della visita privata all’imperatore Naruhito nel vicino Palazzo Imperiale. Tre di loro porteranno una breve testimonianza. Ci sarà anche il direttore della Caritas e numerosi volontari. “Queste persone hanno perso tutto – conclude Tadokoro –. Chiediamo al Papa di dare loro un forte messaggio di speranza. La Chiesa non li ha dimenticati”.