Viaggi apostolici
Otto discorsi in due giorni, un imperativo centrale e trasversale: la lotta contro la tratta, flagello che sfigura e rende schiavi le donne e i bambini. È la fotografia del viaggio del Papa in Thailandia, prima tappa del suo 32° viaggio apostolico che lo porterà nei prossimi tre giorni in Giappone. Pace, dialogo, tutela dei migranti gli altri temi dei discorsi. Lo stile da adottare: quello dei primi missionari. “Dobbiamo imparare da voi”, l’elogio al piccolo gregge dei cattolici, in un Paese a stragrande maggioranza buddista
Quando il Papa arriva, primo successore di Pietro a visitare la Thailandia 35 anni dopo Giovanni Paolo II, lo stadio nazionale di Bangkok non riesce a contenere la folla. Di fronte a oltre 65mila persone, accolto da una coreografia di danze tradizionali in cui spiccano il giallo oro, colore del sacro, e il rosso, colore della festa, il suo primo pensiero va a quei “bambini, bambine e donne esposti alla prostituzione e alla tratta, sfigurati nella loro dignità più autentica”. E la parola tratta è presente trasversalmente a tutto il viaggio tra il “popolo del sorriso”, come lo definisce Francesco: “Porre fine” al “flagello” della tratta e alle “tante schiavitù che persistono ai nostri giorni”, l’appello dalla Chulalongkorn University di Bangkok, la più antica del Paese, dove ha incontrato i leader cristiani e delle altre religioni. “Voi portate sulle vostre spalle le preoccupazioni della vostra gente, di fronte al flagello delle droghe e al traffico di persone”, le parole con cui il Papa si è rivolto ai vescovi della Conferenza Episcopale della Thailandia e della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche (Fabc), incontrati nel Santuario del Beato Nicolas Bunkerd Kitbamrung nel Villaggio cattolico di Wat Roman a Tha Kham.
“Giovani schiavi della droga e del non-senso che finisce per oscurare il loro sguardo e bruciare i loro sogni; migranti spogliati delle loro case e delle loro famiglie, pescatori sfruttati, mendicanti ignorati”.
L’elenco stilato da Francesco nello stadio di Bangkok è dettagliato: “Fanno parte della nostra famiglia, sono nostre madri e nostri fratelli”. “Non priviamo le nostre comunità dei loro volti, delle loro piaghe, dei loro sorrisi, delle loro vite”, l’appello.
Nel ricapitolare la storia del Paese, 350 anni dopo l’arrivo del cristianesimo in Thailandia, il Papa mette in primo piano l’azione dei missionari. “Il discepolo missionario – dice – non è un mercenario della fede né un procacciatore di proseliti”. ”La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione”, ribadisce Francesco incontrando il clero nella cattedrale di San Pietro: ”Per molti la fede cristiana è una fede straniera, è la religione degli stranieri”. “Non dobbiamo aver paura di inculturare il Vangelo sempre di più”, l’imperativo, unito a quello a proclamare la fede “in dialetto, alla maniera in cui una madre canta la ninna nanna al suo bambino”.
Thailandia, terra multiculturale capace di “costruire l’armonia e la coesistenza pacifica tra i suoi numerosi gruppi etnici”,
il ritratto contenuto nel primo discorso al “popolo del sorriso”, indirizzato alle autorità, alla società civile e al Corpo diplomatico. Thailandia, “terra ricca di tante meraviglie naturali, ma specialmente custode di tradizioni spirituali e culturali ancestrali come quella dell’ospitalità”, prosegue il Papa. “Desidero assicurare personalmente tutti gli sforzi della piccola ma vivace comunità cattolica – le parole rivolte ai cattolici, che rappresentano lo 0.59% della popolazione, per il 95% buddista – per mantenere e promuovere le caratteristiche tanto peculiari dei Thai, evocate nel vostro inno nazionale: pacifici e affettuosi, ma non codardi; e col fermo proposito di affrontare tutto ciò che ignori il grido di tanti nostri fratelli e sorelle, i quali anelano ad essere liberati dal giogo della povertà, della violenza e dell’ingiustizia”.
“Proteggere la dignità e i diritti dei migranti e dei rifugiati, i quali affrontano pericoli, incertezze e sfruttamento nella ricerca della libertà e di una vita degna per le proprie famiglie”,
l’appello di Francesco, in un Paese che accoglie quasi 5 milioni di migranti.
“Quando abbiamo l’opportunità di riconoscerci e di apprezzarci, anche nelle nostre differenze, offriamo al mondo una parola di speranza capace di incoraggiare e sostenere quanti si trovano sempre maggiormente danneggiati dalla divisione”.
È il saluto del Papa al Patriarca Supremo dei buddisti, Somdet Phra Ariyavongsagatanana IX, che entra insieme a lui nel Wat Ratchabophit Sathit Maha Simaram Temple. “Promuovere tra i fedeli delle nostre religioni lo sviluppo di nuovi progetti di carità, capaci di generare e incrementare iniziative concrete sulla via della fraternità, specialmente con i più poveri, e riguardo alla nostra tanto maltrattata casa comune”, la consegna per il dialogo, sulla scia del Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza, offerto in dono al patriarca al termine dell’incontro.
“Offrire un nuovo paradigma per la risoluzione dei conflitti, contribuire all’intesa tra le persone e alla salvaguardia del creato”,
sono i compiti affidati dal Santo Padre ai leader cristiani e di altre religioni, incontrati alla Chulalongkom University di Bangkok ed esortati ad unirsi e a lavorare insieme per progetti concreti.
“Quanto dobbiamo imparare da voi, che in tanti dei vostri Paesi o regioni siete minoranza, e non per questo vi lasciate trascinare o contaminare dal complesso di inferiorità o dal lamento di non sentirsi riconosciuti!”,
l’omaggio durante l’incontro con i vescovi. “Molte delle vostre terre sono state evangelizzate da laici”, fa notare Francesco. “Essere ben radicati nella fede dei nostri anziani: padri, nonni e maestri”, l’ esortazione ai giovani durante la messa a loro dedicata, nella cattedrale di Bangkok. “Non per restare prigionieri del passato, ma per imparare ad avere quel coraggio che può aiutarci a rispondere alle nuove situazioni storiche”, precisa il Papa a proposito di una delle caratteristiche peculiari dei tailandesi: la cura e il rispetto per gli anziani, antidoto ai “trucchi” e ai falsi abbagli a cui sono esposti i giovani di oggi, in preda ad una “omogeneizzazione” dei valori.