Editoriale

La politica del puntinismo

In storia dell’arte si chiama puntinismo: un’immagine viene parcellizzata in piccoli punti di colore diverso che vanno a comporre un disegno. Visti da vicino non sono altro che punti distinti, guardati da lontano costituiscono un quadro tanto più chiaro e nitido quanto più ce se ne allontana. Sta capitando anche nella nostra vita politica: non è il tempo della pittura dal vero ma di un impressionismo emotivo e sparso, come i punti. Del resto, anche nella storia dell’arte, quando il puntinismo – nato in Francia – sbarcò in Italia si fece divisionismo. Oggi le forze politiche si scindono, si tendono, si sfilacciano.

(Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)

In storia dell’arte si chiama puntinismo: un’immagine viene parcellizzata in piccoli punti di colore diverso che vanno a comporre un disegno. Visti da vicino non sono altro che punti distinti, guardati da lontano costituiscono un quadro tanto più chiaro e nitido quanto più ce se ne allontana.
Sta capitando anche nella nostra vita politica: non è il tempo della pittura dal vero ma di un impressionismo emotivo e sparso, come i punti. Del resto, anche nella storia dell’arte, quando il puntinismo – nato in Francia – sbarcò in Italia si fece divisionismo. Oggi le forze politiche si scindono, si tendono, si sfilacciano.
E’ successo in casa Pd: prima l’uscita di Carlo Calenda alla notizia dell’accordo con Movimento cinque stelle nato per dar vita al governo Conte bis; poi quella di Matteo Renzi che il 18 settembre ha fondato Italia Viva; infine di nuovo Calenda che, lo scorso fine settimana, ha presentato Entra in Azione. Esperienze che richiamano un recente passato divisionista: da Possibile del 2015 a Liberi e uguali, Articolo Uno e Sinistra Italiana, tutti del 2017.
Anche volgendo lo sguardo alle altre formazioni, se non di scissioni annunciate, di tensioni e di movimenti centrifughi si parla con una certa ricorrenza. Il Movimento Cinque stelle, oscurato l’astro di Grillo, momentaneamente tacitato il tonante Di Battista, non è esente da criticità ogni qual volta una nuvola ombreggi il leader Luigi Di Maio. Più forti, e al tempo stesso più negate, sono le tensioni in casa Forza Italia, nel cui orizzonte albeggia il nome di Mara Carfagna quale possibile nuovo sole allorquando l’intramontabile Silvio Berlusconi dovesse decidere di sgomberare il cielo azzurro della sua formazione. In casa Lega sembrano al momento sopite le tensioni e le prese di distanza dal fare e dal dire del leader Salvini, che non sono mancate nei mesi scorsi. Solo in casa Fratelli d’Italia le acque paiono scorrere placide in un unico fiume.
Il divisionismo, in Italia, è dunque passato dai quadri alla politica. Ma per formare quale disegno? Qui sta il busillis. Forse, come nel caso delle opere, l’esserci dentro e troppo vicini preclude la comprensione. E allora dovremmo affidarci ai giudizi che di noi si danno all’estero. Ma da fuori ci ritraggono come un Paese nel caos, mentre per l’Unione Europea restiamo con i conti a rischio, tanto è vero che siamo rinviati alle verifiche di maggio 2020.
L’Italia si mostra in bilico tra libera vivacità e continua insoddisfazione che parte dalle piazze (dalle sardine anti Lega ai pinguini pro Lega) e si conferma negli scranni delle più alte istituzioni. Il continuo germogliare di formazioni nuove dice che lo scontento nasce dai protagonisti stessi, da quella parte di politici attivi che, evidentemente, dedicano il loro tempo non solo a guidare questo nostro Paese e a risolverne i problemi, ma anche a costruirsi una casa propria, a stilare intenti e programmi, a rilasciare interviste, arricchire siti personali, essere sui tanti social che portano il loro volto. E allora, un quadro unitario non si coglie, anche perché i singoli punti vanno effettivamente a formare un disegno che è figlio dell’emozione del momento.
Intanto, però, i ponti crollano per incuria, i mari salgono per lungaggini e tangenti, lo stivale si sgretola e si allaga ad ogni perturbazione più forte, la sanità ha prospettive di casse sempre più magre, la scuola manca di insegnanti, le industrie chiudono e scappano, annose pendenze non si risolvono e lo Stato è chiamato ad intervenire con le sue tutele su troppi fronti per non correre il serio rischio di implodere.
Lasciamo dunque il puntinismo sulle pareti dei musei e delle gallerie d’arte e invochiamo una ragionata e ragionevole, efficace ed efficiente realpolitik per un disegno di risanamento del Paese.

(*) direttore de “Il Popolo” (Pordenone)