Visita congiunta
Da tempo si parla di una possibile visita congiunta di Papa Francesco e dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby in Sud Sudan. Potrebbe essere una visita lampo di uno o due giorni nella capitale Juba ad aprile 2020. Anche perché muoversi nel resto del Paese non è ancora sicuro, soprattutto al nord. La comunità cristiana sudsudanese è quindi in attesa di una conferma, che dipende molto dalla situazione politica interna. La voce di un missionario da Juba, padre Federico Gandolfi, dei Frati minori francescani.
Non c’è ancora nulla di ufficiale sulla fattibilità della visita congiunta di Papa Francesco e dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby in Sud Sudan. Sicura è solo la volontà dei due leader di visitare il più giovane Paese del mondo, che ancora non riesce a trovare una sua pace e stabilità. Una data possibile potrebbe essere il prossimo aprile 2020. Si parla di una visita lampo di uno o due giorni nella capitale Juba. Anche perché muoversi nel resto del Paese non è ancora sicuro, soprattutto al nord. Nell’ultima nota della Santa Sede, subito dopo l’incontro tra il Papa e Welby, si precisava che il viaggio si farà solo dopo l’effettiva costituzione di un governo transitorio di unità nazionale entro 100 giorni, ossia febbraio 2020. La comunità cristiana sudsudanese è quindi ancora in attesa di una conferma, che dipende molto dalla situazione politica. Papa Francesco ha già compiuto un atto storico lo scorso 11 aprile, quando si inginocchiò per baciare i piedi dei leader sudsudanesi che aveva convocato in Vaticano per un ritiro.
Il Sud Sudan, Paese frammentato in una sessantina di etnie, ancora non ha placato le tensioni interne riaccese nel 2013 da una guerra tra le milizie di etnia dinka, fedeli all’attuale presidente Salva Kiir, e quelle di etnia nuer, guidate dal vicepresidente Riek Machar. Padre Federico Gandolfi, missionario dei Frati Minori francescani che vive da cinque anni a Juba, ha incontrato un paio di volte il Papa a Roma. “Ogni volta mi ha stretto forte la mano dicendomi: ‘Voglio venire in Sud Sudan'”. Insieme ad altri quattro confratelli – un italiano, un irlandese, un croato e un polacco – gestisce una parrocchia enorme, estesa fino a 80 km fuori Juba. Per rendere l’idea della sua vastità cita una cifra emblematica: “Dal 2014 abbiamo celebrato 4390 battesimi”. Padre Gandolfi è anche presidente dell’associazione dei religiosi: una cinquantina di congregazioni presenti nel Paese, con circa 500 missionari. Nel suo cuore ci sono però alcune priorità sociali: i bambini di strada, gli sfollati interni che vivono nei campi.
Con i bambini di strada. Ogni settimana un gruppo di giovani volontari della parrocchia cerca di intercettare ed aiutare i ragazzi che vivono sulla strada. Portano acqua, cibo, curano le ferite. “Perché in strada anche una piccola ferita si può infettare facilmente e portare alla morte per setticemia”, racconta al Sir padre Gandolfi, al telefono da Juba. I bambini sono la sua gioia ma anche il suo “heart breaking”: “Mi spezzano il cuore”. Di recente uno di loro è morto di setticemia, altri due sono stati uccisi. Perciò i frati hanno deciso di aprire una sorta di piccolo orfanotrofio con una trentina di posti letto, Casa Santa Chiara:
“Ci portano anche neonati trovati nell’immondizia”.
Una di queste bimbe è stata chiamata Chiara e adottata da una famiglia locale. “Cresce benissimo ed è una meraviglia”, anche se “l’ideale sarebbe riuscire ad aprire dei luoghi-rifugio. Ma le forze sono limitate e facciamo quello che possiamo. Per noi è importante coinvolgere la gente locale, soprattutto i giovani”.
La comunità cristiana ancora non sa se la visita di Papa Francesco e dell’arcivescovo Welby si farà. Tutti guardano alla politica ma “non sembra che siano ancora stati fatti i passi necessari per un nuovo governo – osserva il missionario – e questo crea tensione nel Paese. Purtroppo è una situazione politica e civile molto complessa che coinvolge diversi livelli: internazionale, nazionale e locale”. Certo, ammette, per la popolazione la visita “avrebbe un significato simbolico molto importante:
Papa Francesco è un uomo che può portare la pace,
come ha dimostrato il suo gesto di aprile. La gente ci spera e anche noi lo speriamo”. I rischi non sono tanto per la sicurezza personale, prosegue, “perché la società è molto rispettosa di certe figure e non ci sono tensioni tra le religioni. C’è un Consiglio delle Chiese cristiane molto autorevole. Il problema è se scoppia di nuovo una guerra civile. Anche gli spostamenti di massa diventerebbero molto difficili”.
4,2 milioni di sfollati a causa della guerra. A Juba, ad esempio, ci sono molti sfollati interni che appartengono alla tribù dell’opposizione, è un campo profughi quasi “politico”. “La possibile scelta del Papa se visitare o meno il campo – osserva – è molto delicata perché significherebbe prendere una posizione. Ci sono tante variabili da tenere in considerazione”. Padre Federico invece va al campo profughi ogni settimana. “Le condizioni sono terribili – racconta -. E’ sovraffollato, ci sono più di 30.000 persone che vivono lì dal 2013. Il cibo viene distribuito regolarmente dal World food program ma non è sufficiente. Abbiamo nuove generazioni di bambini nati e cresciuti al campo, che conoscono solo quella realtà e la lingua tribale. Non parlano la lingua del Paese, quindi crescendo avremo problemi grossi”. A causa del conflitto ci sono 4 milioni e 200 mila sfollati, di cui oltre 3 milioni vivono fuori dal Paese, tra Congo, Kenya, Uganda. Una popolazione resiliente abituata a sopravvivere con gli aiuti umanitari. Ma non per sempre.
Le aspettative. Secondo il missionario il 2020 potrebbe essere un anno chiave per la stabilità del Sud Sudan “perché siamo arrivati ad un punto in cui il governo non riesce più ad andare avanti nello stesso modo, bisogna arrivare ad una soluzione”. “La popolazione sudsudanese ha bisogno di speranza” sottolinea padre Gandolfi -. Io sono qui da 5 anni e vedo che i giovani stanno perdendo la speranza, mentre prima c’era l’idea di un futuro possibile. Ora vivono alla giornata. E’ impossibile mettere su famiglia, non coltivano nemmeno più la terra”.
“Il Papa venga a portare la speranza”,
è il suo appello: “Per un futuro di pace, per l’educazione, il lavoro, i rapporti sociali”. Non solo: “Se riuscisse a trascorrere una notte a Juba sarebbe un segno importante per il Paese. Sarebbe come dire: io mi fido”.