CARD. GIOVANNI SALDARINI

La sua lezione

Il ricordo e la gratitudine di Torino e Milano

La biografia del cardinale Giovanni Saldarini, morto all’età di 86 anni a Milano la sera di lunedì 18 aprile, dopo una lunga malattia, è una di quelle che attestano senza bisogno di aggiunte l’ampiezza, la profondità e la dedizione di una vita intera alla causa del Vangelo e al servizio della Chiesa. Nato a Cantù (provincia di Como ma arcidiocesi di Milano) l’11 dicembre 1924, entrò in seminario a 14 anni e fu ordinato nel 1947 sacerdote dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Studiò Sacra Scrittura a Roma (presso il Pontificio Istituto Biblico). Fu docente al seminario di Venegono, quindi parroco a Carate Brianza, e in seguito nella parrocchia San Babila nel cuore di Milano. Dieci anni dopo il cardinale Carlo Maria Martini lo indicò come ausiliare e venne ordinato vescovo il 7 dicembre 1984, divenendo in seguito pro-vicario generale. Soltanto cinque anni più tardi, il 31 gennaio 1989, veniva scelto dal Papa quale nuovo arcivescovo di Torino, 100° pastore della città, succedendo al cardinale Anastasio Ballestrero. Il suo episcopato torinese fu segnato da ben quattro beatificazioni: il salesiano don Filippo Rinaldi, terzo successore di don Bosco (29 aprile 1990), il laico Pier Giorgio Frassati (20 maggio 1990), il canonico Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata (7 ottobre 1990) e madre Giuseppina Gabriella Bonino, fondatrice della Congregazione religiosa della Santa famiglia di Nazareth (7 maggio 1995). Dopo dieci anni, si ritirò dalla pastorale attiva per raggiunti limiti di età nel 1999.

Le parole del Papa.
Nel suo telegramma di cordoglio rivolto a mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, Benedetto XVI sottolinea la sua “lunga infermità vissuta con fiducioso abbandono al Signore” ed esprime ai familiari la “profonda partecipazione al loro dolore pensando con affetto a questo caro fratello che ha servito generosamente il Vangelo e la Chiesa”. Lo stesso mons. Cesare Nosiglia, in un messaggio alla diocesi, afferma: “Voglio qui ricordare in modo particolare il suo appassionato impegno per la pastorale dei giovani e delle famiglie, la celebrazione del Sinodo diocesano e l’ostensione della Sindone nel 1998, quando accolse anche la visita di Giovanni Paolo II. La comunità diocesana torinese ha continuato a sentirlo presente e lo ha sempre ricordato nella preghiera”. Mons. Erminio De Scalzi, vescovo ausiliare e vicario episcopale per la città di Milano, ha scritto un breve profilo in suo ricordo (pubblicato sul sito della diocesi ambrosiana www.chiesadimilano.it) nel quale, tra l’altro, afferma: “Questi ultimi anni trascorsi a Milano sono stati per lui il ‘tempo del silenzio’: presto non riuscì più a parlare. Comunicava con gli occhi, con l’espressione del viso, con un sorriso, con lo sguardo ora sereno, ora inquieto”. Aggiunge che “nei primi tempi della sua malattia, visitandolo, si intuiva che aveva in animo molte cose da dire, ma la malattia non gli permetteva di esprimerle. Ultimamente rispondeva a tutti con il suo silenzio profondo, dal quale ti sentivi scrutato. Il suo interlocutore era forse un Altro e le nostre preoccupazioni terrene ormai non lo sfioravano più. Ma neppure questo doloroso scorcio della sua vita è riuscito a mettere in ombra la grande sensibilità umana che lo caratterizzava”.

Il mistero del suo silenzio.
Dei suoi ultimi anni, segnati da una grave malattia che lo ha reso via via più debole e isolato, ha tracciato un ricordo anche mons. Roberto Busti, vescovo di Mantova, suo allievo in Seminario e coadiutore in parrocchia. “Proprio lui, uomo di rapporti profondamente umani e amichevoli – sottolinea mons. Busti – con il fascino del parlare intriso di Parola di Dio… lui, ridotto a una comprensione sempre più labile di persone e cose attorno a sé e alla parola mortificata dal silenzio inespressivo e impotente. (…) Per lunghi anni, molto maggiori di quelli previsti dalla diagnosi medica, l’amore delle persone che l’hanno accolto, curato, seguito ogni giorno, l’ha tenuto in vita: come poi una vita così intensa, un’intelligenza così brillante, e una capacità di relazioni così coinvolgente possa perdere totalmente ogni capacità che l’ha resa amabile e amata, per noi rimane sempre un mistero”. Marco Bonatti, direttore del settimanale della diocesi di Torino (“La Voce del Popolo”), in una nota per chiesadimilano.it, ha descritto uno dei momenti più difficili vissuti dal cardinale negli anni in cui era alla guida della diocesi piemontese: “A nessun vescovo, almeno in tempi recenti, è toccata una prova tanto sconvolgente come quella di vedere la propria cattedrale aggredita dal fuoco, nella notte. A nessuno è toccato di essere il ‘Custode’ della Sindone e di dover lottare e pregare con tutta l’anima perché quel patrimonio non sparisca nelle fiamme. Non potremo mai dimenticare i volti dell’arcivescovo, del sindaco, del generale dei Carabinieri che guardano in alto verso la cupola del Guarini, in quella notte dell’aprile 1997. Ma il cardinale Giovanni Saldarini tenne testa alla prova. La Sindone venne esaminata dagli esperti il giorno successivo, non c’erano danni. E l’arcivescovo confermò che l’Ostensione si sarebbe celebrata, di lì a un anno, come previsto”.