CULTURA E SOCIETÀ
Mons. Mariano Crociata: oggi ad Ancona un intervento sul primato dell’educare
“Davvero educare è via di futuro; non dirò la via, nel senso dell’unica, ma certo una via privilegiata, da cui non è consentito a nessuna comunità umana di prescindere, pena la preclusione, appunto, di ogni futuro”. Lo ha detto, oggi, mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, intervenendo al convegno annuale dell’arcidiocesi di Ancona-Osimo.
Nella prospettiva della maturità. “L’idea di futuro ha osservato il presule – è strutturalmente associata a quella di educazione, per la semplice ragione che nella sua forma propria educare significa portare, o meglio, accompagnare a maturità una persona”. Educare, dunque, è “una attività che si compie sempre nella prospettiva di una maturità a venire, che si spera di vedere conseguita, ma che niente garantisce in assoluto che sia raggiunta”. “Come tutte le speranze umane, pur nutrite da una fiducia magari fondata, anche l’educazione ha chiarito mons. Crociata – getta l’ancora su un futuro che ancora non si conosce, e che in certi momenti può profilarsi realizzabile ma in altri fa temere il più rovinoso fallimento”. A questa dimensione di futuro insita nella natura stessa dell’educazione si aggiunge oggi, secondo il segretario generale della Cei, “un clima sociale e culturale largamente deprimente”. Infatti, “la crisi economica, che dura ormai da qualche anno, fa apparire a molti giovani sempre più remota la possibilità di trovare una condizione dignitosa di vita con un proprio adeguato lavoro e una famiglia dotata del minimo di sicurezze necessarie”. Così “aumenta lo scoraggiamento e a volte si arriva alla depressione; si cercano facilmente ripieghi, ma il tutto annega dentro un presente opprimente, che lascia ben poco spazio per guardare al futuro”.
Ripiegarsi sul presente. Non solo: “Dobbiamo poi riscontrare ha affermato il presule – un ulteriore aspetto che caratterizza il rapporto delle nuove generazioni, ma spesso anche di quelle non più giovani, con il futuro, ed è una concezione dell’esistenza che, a prescindere dalla crisi o dalle condizioni economiche e sociali, sistematicamente rimuove il pensiero del futuro (ma preferisce anche lasciar cadere nell’oblio il passato), ripiegando su un presente frammentato in una serie di attimi, di momenti isolati, consumati in una condizione narcotizzata, nella dimenticanza, se non nella attiva rimozione, dei problemi che la vita presenta e delle domande che salgono dal cuore, dalla coscienza, dall’esperienza”.
La sfida della libertà. Mons. Crociata, richiamando gli Orientamenti pastorali 2010-2020, ha parlato della libertà che “rappresenta un valore decisivo in ogni genere di considerazione della identità e della dignità dell’essere umano”. Per questo i vescovi oppongono “un no convinto all’autoritarismo e al permissivismo, perché il primo soffoca la libertà, il secondo rende insignificante la relazione”. Per il presule, “una libertà formata secondo la verità della persona umana sa unire autonomia e responsabilità, poiché vede scaturire dall’interiorità personale ogni decisione e ogni iniziativa, ma nella consapevolezza della rete di relazioni in cui è inserita e dell’esigenza di dar conto di se stessa agli altri, al mondo, a Dio”. Una libertà autentica, così definita, è in realtà “la chiave che schiude il futuro alla persona. La consapevolezza dei limiti e dei condizionamenti, la relazione con la propria coscienza, con l’ambiente, con la propria storia, con gli altri, con l’imprescindibile riferimento trascendente, tutto questo dà forma al radicamento nel passato, accolto e rielaborato dentro la propria inconfondibile identità”. Da queste premesse “la libertà si apre al futuro perché responsabilmente si inoltra passo dopo passo in esso costruendolo con la propria iniziativa nell’intreccio con i molteplici fattori che concorrono a dargli forma”.
Fede consapevole. Rispetto alla proposta cristiana, “il futuro verso cui ultimamente l’educazione ci conduce è quello racchiuso nella sintesi di vocazione ed eternità, chiamata ad assumere la propria esistenza in una relazione impegnativa e situata storicamente dentro un orientamento verso il definitivo del nostro inserimento nella risurrezione di Cristo”. Perciò, “si diventa cristiani quando la fede viene consapevolmente accolta come dono e abbracciata con una scelta personale. Non c’è futuro per persone incapaci di farsi carico della propria vita con decisioni adeguate e responsabili; allo stesso modo non c’è futuro per una fede conservata per abitudine e per cultura ambiente”. “Solo una fede assunta con scelta personale ha sottolineato il segretario della Cei – è in grado di valorizzare il portato di una cultura e di una tradizione sociale per farne fattore di vero futuro, con un orizzonte addirittura ulteriore rispetto a quello che umanamente si riesce anche nel migliore dei casi a intravedere”. Educare significa, allora, “riuscire a polarizzare la tensione vitale di un ragazzo o di un giovane verso un interesse, un progetto, un ideale, una speranza, che abbiano inseparabilmente il volto di un progetto di vita e di una speranza di eternità, e, ancora di più, abbiano il volto di una persona che quel futuro ultimo lo ha creato e raggiunto, e dal quale ci attira fino al suo ritorno”.