BUONA COMUNICAZIONE

Vescovi tra i banchi di scuola

Il Ccee propone ai vescovi europei un breve percorso formativo, denominato Media training, che si terrà a Madrid nei giorni 9-11 dicembre

Come si affronta un’intervista televisiva? Quali atteggiamenti è bene evitare di fronte a una telecamera? Come partecipare efficacemente – dal punto di vista mediatico – a un dibattito con uno o più interlocutori di parere contrario? Sono tutte situazioni che sempre più frequentemente capitano anche i vescovi, chiamati a portare il Vangelo nell’era della tv, dei talk-show, dei social network. Per questa ragione il Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa) propone ai vescovi europei un breve percorso formativo, denominato “Media training”, che si terrà a Madrid nei giorni 9-11 dicembre.

Prove sul campo. Il servizio viene proposto alle Conferenze episcopali europee nella convinzione che “sempre più spesso oggi un pastore può sperimentare quanto sia necessaria una conoscenza e un’esperienza pratica dei mezzi di comunicazione, sia nel caso di interviste televisive, in radio o su carta stampata, sia nel caso di talk show, programmi di intrattenimento, social media”. Don Michel Remery, vice segretario generale del Ccee, sta seguendo personalmente l’organizzazione del seminario e ha recentemente portato la proposta ai presidenti delle Conferenze episcopali, riuniti in assemblea-pellegrinaggio in Terra Santa a metà settembre. I posti disponibili per questa prima edizione del Media training sono 25 e per affrontare il tema con la massima professionalità il Ccee si è affidato alla consulenza e collaborazione di una società specializzata, che metterà a disposizione esperti delle più moderne tecnologie e dei linguaggi comunicativi e giornalisti per alcuni “casi di studio” e prove sul campo.

“Stare sulla scena”. “Sono stati proprio alcuni vescovi a suggerirci l’iniziativa”, spiega don Remery. “Ovviamente i pastori delle diocesi più grandi oppure i presidenti di talune Conferenze episcopali hanno a loro disposizione in sede diocesana persone qualificate pronte ad esser d’aiuto. Su questo versante lavorano già anche alcuni uffici nazionali delle comunicazioni sociali. Diciamo che questa è una proposta che può essere utile a coloro che non hanno tali disponibilità”. In effetti la pervasività dei media, e la specificità delle moderne modalità comunicative, non ha mancato di mettere in seria difficoltà non solo i vescovi, ma anche responsabili di uffici diocesani e nazionali oppure laici al servizio della comunità ecclesiale. Quando poi capita di trovarsi dinanzi a questioni spinose – come ad esempio quelle in ambito finanziario, oppure casi veri presunti di abusi sessuali – si rischia di finire nel “tritacarne” massmediale. Ancora di recente, a proposito del dibattito verso il Sinodo sulla famiglia, si è riscontrata una oggettiva impreparazione di qualche figura ecclesiale a “stare sulla scena” parlando di teoria del gender, di comunione ai divorziati risposati, di accoglienza nella comunità cristiana delle persone omosessuali… Uguali fatiche si sono misurate a proposito dell’accoglienza di profughi e migranti in Europa.

Parola e parole. “Come Chiesa abbiamo un grande e positivo messaggio, una ‘buona novella’, da comunicare”, osserva don Michel Remery. “Per farlo non dobbiamo però limitarci all’omelia della domenica o all’incontro di catechesi. Ogni occasione può essere propizia per parlare di Gesù, per testimoniarne il messaggio salvifico, comunicando con le donne e gli uomini di oggi con parole e gesti adeguati, limpidi, convincenti. Per cogliere tali opportunità e per valorizzare il ‘pulpito’ dei media, occorre conoscerne regole, prassi, stili, trucchi. Così da potersi poi concentrarsi sul messaggio da trasmettere”. Non è un caso che nel programma della tre giorni madrilena appaia, come caso di studio, un confronto pubblico sulla teoria del gender. Si tratterà fra l’altro di scoprire quanta differenza passa, per fare un altro esempio, tra un’intervista televisiva e una radiofonica, laddove nella prima prevale l’elemento-immagine, mentre nella seconda diventano preponderanti, oltre al discorso in sé, il tono e il timbro vocale. Perché si può essere più o meno chiari e convincenti – oltre che per il radicamento delle proprie parole nella Parola di Dio – anche a secondo di come si parla e del rapporto che si instaura con un qualsiasi interlocutore.