EDITORIALE/2
Sono trascorsi 25 anni dalla riunificazione tedesca. Da allora Berlino ha assunto – piaccia o meno – la leadership dell’Ue. I pro e i contro
Venticinque anni fa, il 3 ottobre 1990, la Germania è stata riunificata. Il fallimento del regime comunista aveva reso possibile che, dopo 45 anni di separazione, i cittadini della cosiddetta Repubblica democratica tedesca in libera autodeterminazione potessero entrare a far parte della Repubblica federale di Germania e quindi anche dell’Unione europea. Da allora, la Germania ha assunto sempre più – piaccia o meno – un ruolo di leadership in Europa. Tale ruolo-guida di uno Stato membro non era previsto nei Trattati che soggiacciono alla “costituzione” dell’Unione europea. Nella comunità di Stati e popoli europei, la leadership dovrebbe venire dagli organi comunitari – controllati dal Parlamento europeo -, e in particolare dalla Commissione, che rappresenta l’interesse comune, e dal Consiglio dei ministri, in cui gli interessi nazionali sono portati a una espressione comune. Nell’azione legislativa tale coordinamento funziona, ma non nella politica estera, come ad esempio nella politica di asilo. E ciò accade perché l’Unione europea non è stata completata. I suoi componenti nazionali svolgono ancora un ruolo decisivo, legittimato sia dal sistema federale dell’Unione sia dal fatto che sono gli Stati membri che hanno fondato l’Unione stessa. Essi rimangono, anche se in misura ridotta, i “padroni dei Trattati”.
Finché le istituzioni europee non avranno l’autorità necessaria per dare il ritmo giusto all’Ue, è di fatto necessario che tra i 28 Stati membri ce ne sia almeno uno che dà l’orientamento generale. Il ruolo del metronomo, che appartiene ormai evidentemente alla Germania, nelle prime fasi della politica europea d’integrazione era stato assunto dalla Francia. Come la Francia dagli anni Settanta si è sempre assicurata il sostegno della Germania nel compito di leadership, ora è la Germania che si sforza di andare avanti insieme alla Francia, indicando la strada a tutti gli Stati membri.
La leadership non è un privilegio, e non conferisce alcun privilegio. Leadership significa in primo luogo assumersi la responsabilità, non solo di se stessi e del proprio interesse, ma della comunità. La Germania è maturata per un tale ruolo? Certo è che la Germania a partire dalla riunificazione è diventata sia geograficamente sia demograficamente il più grande paese dell’Unione. Cosa altrettanto importante è il fatto di avere una costituzione ben funzionante, che ha portato a un sistema politico stabile e a una cultura politica caratterizzata dalla capacità di affrontare le crisi rapidamente e dallo sviluppo costante. Con il coraggio è stato così possibile risolvere gli enormi problemi organizzativi, economici e sociali che la riunificazione aveva portato con sé. Questo spiega anche la fiducia nell’affrontare oggi, con l’aiuto di una società civile vivace e impegnata, la grande sfida posta dall’afflusso di centinaia di migliaia di rifugiati. La sua posizione centrale in Europa porta con sé che la Germania abbia molti vicini confinanti, per cui il Paese e la sua popolazione sono sollecitate all’attenzione, alla continua apertura, al guardare oltre i confini. La struttura federale dello Stato assicura infine una grande flessibilità, facilita le riforme e anche lo sviluppo della forza economica e quindi rende possibile promuovere una generosa politica sociale.
Come è emerso durante la crisi greca, ma anche in molte altre occasioni, al ruolo di leadership si legano spiacevoli effetti collaterali. Chi guida si attira non solo critiche sulle proprie decisioni, ma anche sospetti, addirittura oltraggi e diffamazioni da parte di chi lo invidia, di chi sente ferito il proprio protagonismo nazionale. Chi esercita responsabilmente il proprio ruolo di leadership deve essere in grado di sopportare tutto ciò. Sono soprattutto le forze nazionaliste, di destra e di sinistra, che si oppongono demagogicamente contro la leadership tedesca e la sua proposta politica. La violenza di queste reazioni può essere spiegata in parte dal ricordo del ruolo della Germania nella prima metà del secolo scorso; lo sviluppo democratico degli ultimi 70 anni secondo loro non rende giustizia.
La resistenza alla leadership tedesca, tuttavia, deriva principalmente dal fatto che la politica condotta dalla cancelliera Angela Merkel è caratterizzata da un certo rigore, dovuto per altro solo all’evidente fatto per cui le regole stabilite di comune accordo nell’Unione europea e in particolare nell’unione monetaria, devono essere rispettate. Solo le regole infatti possono garantire la coesione in una comunità di molti Stati, ciascuno attaccato alla propria “sovranità”, senza il riconoscimento di alcuna autorità superiore, di cui seguire le decisioni. Se le regole non sono rispettate, la Comunità rischia di cadere a pezzi.