CON IL NUOVO RE

Belgi alla prova: ” “restare uniti” “anche se diversi

I tre gruppi linguistici – e soprattutto fiamminghi e valloni – non si stimano, non si riconoscono ”concittadini”, pensano di poter fare a meno l’uno dell’altro. Bruxelles può rappresentare l’avanguardia di un’Europa che cura le proprie malattie, oppure divenire il simbolo della disgregazione

Lo ha richiamato a caratteri cubitali anche il giornale di lingua fiamminga "De Standaard": il nuovo re, Filippo, sarà – almeno lo si auspica – il rappresentante della "unità nella diversità". Che è anche il motto dell’Unione europea. Sì, perché nel suo piccolo (meno di 11 milioni di abitanti), il Belgio, geograficamente collocato al centro dell’Ue, incarna una buona parte dei pregi e dei difetti del vecchio continente; il quale, mentre subisce le innumerevoli pressioni esterne della globalizzazione, fa fatica a tenere insieme le sue tradizionali e sorgive diversità.
Dal 21 luglio il Paese ha un sovrano relativamente giovane, Filippo, 53 anni, figlio di Alberto, che ha abdicato a suo favore dopo vent’anni di regno. Filippo, con accanto la moglie Matilde, sarà – come vuole la regola – "re dei belgi" e non "del Belgio", per sottolineare la vicinanza della casa regnante al popolo e, elemento di estrema attualità, per rimarcare che tutti i belgi, a qualunque comunità linguistica appartengano, formano una sola nazione.
Il problema più evidente che emerge infatti a Bruxelles e nelle regioni in cui è suddiviso il Paese – le Fiandre, a nord, di lingua fiamminga; la francofona Vallonia a sud; più una piccola area germanofona – è una sempre maggiore volontà di far prevalere le differenze, di sottolineare le divergenze, di assecondare le forze centrifughe che minacciano l’unità dello Stato. Soprattutto alla regione fiamminga, più ricca e popolosa, il Belgio sembra "stare stretto" e la forza politica lì prevalente, il Vlaams Belang (Interesse fiammingo), rivendica non a caso l’autonomia da Bruxelles e la separazione dalla Vallonia. Nel periodo 2010-2011 il Paese è rimasto, a seguito delle elezioni politiche, per oltre 500 giorni senza un governo nazionale: dopo una profonda riforma in senso federale, si è infine giunti a un accordo tra le principali forze politiche e ora il Belgio è guidato da un Esecutivo di coalizione con a capo il socialista Elio di Rupo (di chiare origini italiane).
Potrà, da solo, il nuovo monarca, porre rimedio a questa crescente debolezza del Belgio? E l’emergenza istituzionale del Paese è di esclusiva natura politico-partitica? Le risposte sono ovviamente negative. I tre gruppi linguistici – e soprattutto fiamminghi e valloni – non si stimano, non si riconoscono "concittadini", pensano di poter fare a meno l’uno dell’altro. Le specificità linguistiche e culturali sono diventate ostacoli sempre più evidenti in corrispondenza della crisi che ha colpito negli ultimi anni anche l’economia belga, ampliando la forbice tra i Pil del nord e del sud; persino sul piano demografico i trend di sviluppo sono distanti, a tutto vantaggio dell’area fiamminga. Sarebbe poi interessante verificare quanto pesano in questi giochi interni le influenze degli "Stati amici", rispettivamente Paesi Bassi, Francia e Germania.
Ma se le citate differenze, divergenze e spinte centrifughe sono mali che effettivamente affliggono il Belgio, e al contempo si ravvisano quali elementi di tensione in altri Stati europei, si comprende perché "l’esperimento belga" oggi sia sotto la lente d’ingrandimento degli analisti, dei politici di varie bandiere e delle istituzioni comunitarie. Si potrebbe complessivamente sostenere che la grave influenza che sta colpendo il malato belga si riscontra, magari con altri sintomi, in una pluralità di Paesi. Le democrazie e gli Stati sono posti in discussione dalla mondializzazione (economica, demografica, culturale…), dai nazionalismi e dai regionalismi che esplodono in reazione alle dinamiche globali. Occhi puntati su Bruxelles, allora: i belgi possono rappresentare l’avanguardia di un’Europa che risolve i suoi problemi e cura le proprie malattie, oppure divenire il simbolo di una disgregazione della quale non è difficile prevedere esiti catastrofici. Il Belgio, come l’Europa, ha bisogno non di egoismi, di separatismi, di biechi nazionalismi, bensì di partecipazione democratica, di rinnovata responsabilità verso la polis, di apertura all’altro e agli altri, di cooperazione internazionale anche entro il quadro di solide ed efficaci istituzioni europee. L’unità nella diversità, appunto.