IN MORTE DI UN MAESTRO
Don Luigi Merola, noto per il suo impegno contro la camorra, lo ricorda così: “Un bambino mi ha chiesto: ‘Ma adesso sta in Paradiso?’, io gli ho risposto: ‘Marcello sicuramente, ‘noi speriamo che ce la caviamo ad andare in Paradiso’, parafrasando il suo noto libro”. E ancora: “Innamorato del suo figlio prete, era preoccupato di non essere abbastanza buono per meritare il Paradiso e combatteva per la perfezione”
“Uno dei figli più belli, che aveva il polso della città e che sapeva dare la medicina per curare i mali di Napoli”. È la descrizione che don Luigi Merola, prete napoletano noto per il suo impegno contro la camorra e presidente della fondazione “‘A voce d’e creature”, dà al Sir di Marcello D’Orta, morto martedì 19 novembre a Napoli. Malato da tempo di cancro, il maestro e scrittore, autore del best seller “Io speriamo che me la cavo”, stava scrivendo un libro su Gesù. Ha scritto con don Luigi Merola, nel 2012, il libro “‘A voce d’e creature”, dedicato ai ragazzi a rischio, che la Fondazione del sacerdote cerca di recuperare. Il libro scritto a quattro mani con don Luigi contiene, infatti, quello che i bambini pensano sulla camorra e i problemi di Napoli, ma anche le loro lettere al sindaco e al Papa, le loro storie, non sempre facili, e poi le speranze, i sogni, le aspirazioni per un mondo migliore. Don Luigi, l’altro ieri ha perso un amico…”Per me è stato un maestro e, al tempo stesso, ho visto in lui un bambino tra i bambini. Era capace di parlare ai ragazzi stando dalla loro parte e, quindi, di leggere il loro cuore. Maestri come lui, purtroppo, oggi sono veramente rari perché sapeva guardare il mondo con gli occhi dei bambini. Per i ragazzi della Fondazione è venuto meno un punto di riferimento importantissimo. Per quattro anni ha portato avanti un laboratorio sulla scrittura, per aiutare i piccoli a scrivere e a imparare nuovi vocaboli. Nei nostri quartieri, infatti, c’è tanta ignoranza e D’Orta diceva che questa è una forma di schiavitù. Per Marcello il fatto che i ragazzi imparassero anche poche parole nuove a settimana era motivo di gioia. Quando ieri un bambino mi ha chiesto: ‘Ma adesso sta in Paradiso?’, io gli ho risposto: ‘Marcello sicuramente, ‘noi speriamo che ce la caviamo ad andare in Paradiso’, parafrasando il suo noto libro”. Com’era il rapporto con i ragazzi a rischio seguiti dalla Fondazione?”C’era un buon feeling perché riusciva a parlare al cuore dei bambini. Non era solo il maestro che offriva le conoscenze. Diceva sempre che la scuola non è solo scuola d’istruzione, ma maestra di vita. Questa sua concezione della scuola è stata molto importante anche per la nostra Fondazione, tanto che il mese prossimo dedicheremo a D’Orta l’aula principale della nostra struttura”. Per lei cosa è significato l’incontro con il maestro scrittore?”Mi ha dato una carica in più ad amare questa città. Nonostante abbia denunciato spesso con i suoi scritti i mali di Napoli, D’Orta era legato a questi luoghi. Mi diceva sempre di non andare mai via da Napoli e di continuare a scrivere dei problemi che la affliggono e anche delle sue bellezze dal di dentro”. Cosa perde Napoli con Marcello D’Orta?”Perde uno dei figli più belli, che aveva il polso della città e che sapeva dare la medicina per curare i mali di Napoli, non limitandosi solo a criticare o denunciare come fanno tanti. Per esempio, nel libro scritto insieme, sottolineava l’importanza di aver riutilizzato come sede della Fondazione un bene confiscato alla camorra. Diceva: prima c’era l’orco insieme con altre belve feroci, oggi c’è un prete circondato dalle sue creature. La medicina, allora, è riutilizzare le strutture che ha questa città, facendo del bene. Per D’Orta non servivano grandi progetti per salvare Napoli: piuttosto che ognuno faccia meglio il proprio dovere. In questo senso, tutti a Napoli e in Campania ci dobbiamo rimboccare le maniche per salvare la nostra agricoltura e valorizzare le nostre bellezze”. Negli ultimi tempi D’Orta stava scrivendo un libro su Gesù: ci può raccontare qualcosa?”Aveva già scritto una quarantina di pagine. Venti giorni fa, prima del suo ultimo ricovero all’Ospedale Monaldi, mi ha detto che in un primo momento voleva parlare di Gesù visto dai bambini, poi ha deciso di scrivere come lui vedeva Gesù, anche in questi anni della malattia. Anni di ‘grazia’ per lui perché conviveva con la sofferenza in modo sereno. Anzi, pur essendo prete, non ho mai conosciuto una persona così serena di fronte al dolore. E, poi, era ‘innamorato’ del suo figlio prete. Marcello era preoccupato di non essere abbastanza buono per meritare il Paradiso e combatteva per raggiungere la perfezione. Io gli dicevo: ‘Vedi che sei buono perché hai dato un buon frutto, come tuo figlio’. E ancora mi chiedeva: ‘Posso incontrare Gesù?’. E io gli rispondevo: ‘Con tutta questa sofferenza ti sei purificato anche da qualche possibile peccato. E poi, soffrendo, sei già con Gesù’. Ora è sicuramente in Paradiso”.