CITTÀ A DUE VELOCITÀ

San Francisco” “capitale americana” “degli homeless

Il clima mite e i sussidi pubblici generosi hanno fatto crescere il popolo dei senza tetto, arrivato a contare oltre 10mila persone. Per molti le biblioteche pubbliche sono diventate degli autentici ostelli. Con l’arrivo in città di centinaia di giovani programmatori, ingegneri, startupper delle aziende tecnologiche della Silicon Valley, i prezzi delle abitazioni sono saliti alle stelle. E non solo quelli…

Jeff Olivier è uno dei 10mila senzatetto di San Francisco. Lavorava come "bike messenger", fattorino in bicicletta, poi ha avuto un brutto incidente e la sua vita ha preso una piega difficile. Ha perso il lavoro, non è più riuscito a pagare l’affitto e si è ritrovato in strada. "Riesco a rimediare lavori occasionali, come cameriere o muratore a cottimo", racconta al Sir il trentaquattrenne Olivier, seduto su un marciapiede di Market Street, l’elegante via che taglia San Francisco da nord-est a sud-ovest. "Ma mi licenziano sempre, la memoria mi funziona solo a sprazzi". Clochard-City. San Francisco è la capitale americana degli homeless. Dei 10mila senza fissa dimora che ci vivono, 3-5mila rifiutano gli ostelli per paura di essere malmenati o derubati. Da tempo mecca degli homeless americani per il clima mite e i sussidi ai senzatetto, la graziosa città dei tram, dei saliscendi e della baia spende 200 milioni di dollari all’anno in servizi rivolti agli homeless. Nonostante ciò (o forse proprio in virtù degli aiuti) il numero di quelli che tirano a campare in strada non accenna a diminuire. Anzi, negli ultimi anni è aumentato. Immobili e nuovi yuppie. Con l’arrivo in città di centinaia di giovani programmatori, ingegneri, startupper delle aziende tecnologiche della Silicon Valley (prime fra tutte Google, Facebook, Apple) i prezzi degli immobili sono saliti alle stelle. Gli affitti sono diventati sempre più onerosi per tutti, e specie per chi abita in quartieri popolari a maggioranza ispanica come Mission. Qui le famiglie messicane stanno facendo le valigie, perché anche la vita quotidiana è troppo cara e fare la spesa è un lusso per pochi. Al contempo, stanno arrivando giovani professionisti delle aziende tech: con i loro stipendi da favola possono permettersi appartamenti lussuosi in palazzi appena costruiti. L’altra Silicon Valley. Paradossalmente molti homeless arrivano a San Francisco proprio dalla leggendaria Silicon Valley, culla di alcune grandi società mondiali nel campo delle tecnologie informatiche e della comunicazione. Qui i "food stamps", i sussidi alimentari concessi ai redditi poveri, hanno ormai raggiunto i livelli massimi da dieci anni a questa parte. Il numero dei senza fissa dimora è aumentato del 20% in due anni e il salario medio annuo degli ispanici (che costituiscono il 25% dei residenti nella Valle) ha toccato il record negativo di 19mila dollari, calando quindi del 15% negli ultimi cinque anni, stando ai dati di Joint Venture Silicon Valley, un’associazione legata ai gruppi filantropici della regione. Biblioteche-ostelli. Non servono poi molti numeri per intuire l’emergenza. Per rendersene conto basta fare un salto alla biblioteca centrale di San Francisco. Qui sono in pochi a cercare libri da prendere in prestito. La maggior parte degli avventori cerca solo un angolino tranquillo in cui appisolarsi. Alle storie stampate sui romanzi della biblioteca si intrecciano le loro, non meno avvincenti. C’è Andrew, il vecchio galeotto uscito dal carcere ma disorientato nel mondo senza sbarre. C’è "l’Autrice", pure lei avanti con gli anni: scrive e scrive su un quaderno a quadretti. C’è il professor Morales: si dice docente di geografia e viaggiatore incallito benché da più di vent’anni non si sia mai mosso dal quartiere. E ci sono tanti altri habitué per i quali questo spazio sostituisce un po’ tutto: la camera da letto, l’ufficio, la dispensa. I racconti delle loro vite sono un misto di realtà e fiction. È il fenomeno delle biblioteche-ostello, frequentate da lettori-inquilini. Lo sa bene Kathleen Lee, oggi assistente sociale ed ex homeless lei stessa, che lavora a tempo pieno in questa biblioteca con uno psichiatra. "Una volta si andava negli ostelli", dice, "oggi si viene pure qui". Due velocità. Accanto a San Francisco città sinonimo di cultura, di università, e di imprenditori tech in erba a caccia di stipendi dorati, ne corre un’altra parallela, di gente che spinge carrelli della spesa zeppi di coperte e abiti lisi, degli immigrati clandestini ispanici che stazionano per ore in viale Cesar Chavez per elemosinare qualche ora di lavoro manuale malpagato, dei tossicodipendenti del quartiere Tenderloin. Olivier, l’ex fattorino in bicicletta oggi homeless, ricorre a un proverbio del suo Stato natale, il Texas, per descrivere il suo senso di straniamento: "Spesso mi sento come una gallina in un’autostrada sorpresa da un temporale. Non posso far smettere di piovere, non riesco a correre e non so dove nascondermi". Olivier indossa un finto smoking di cartone con scritto: "Sono senza un soldo, è una brutta cosa. Qualsiasi aiuto è gradito, grazie". Il suo collega di sventura, Joshua Bighaus, musicista di 24 anni, zufola melodie folk alla Woody Guthrie e spera di ascoltare le note di qualche moneta nel bicchiere cerato della questua. Quelle note, però, si sentono raramente. Il più delle volte si tratta di dissonanze: occhiate sdegnose, qualche insulto, tanta gelida indifferenza.