Un calcio alla camorra

Ogni goal vale doppio perché vince anche la legalità

La straordinaria avventura della Nuova Quarto Calcio, sottratta alla malavita e rinata grazie all’azionariato popolare. La visita della Nazionale di Prandelli ha acceso i riflettori dell’informazione italiana. La testimonianza di Luigi Cuomo, coordinatore nazionale di Sos impresa e dirigente unico della società. Fondamentale il sostegno del vescovo Pascarella e della comunità ecclesiale

Dare un calcio alla camorra. A Quarto, in provincia di Napoli, si può e non solo simbolicamente. Grazie ad una squadra di calcio. La Nuova Quarto Calcio per la legalità è nata un anno e mezzo fa, ma grazie alla visita della Nazionale di calcio, lunedì 14 ottobre, allo stadio Giarrusso, ora tutti i riflettori sono puntati su questa squadra che rappresenta la voglia di riscatto e di legalità di quella parte sana della cittadinanza che è stata sempre costretta a convivere con chi grazie alla malavita fa affari. A Luigi Cuomo, coordinatore nazionale di Sos Impresa e dirigente unico della Nuova Quarto Calcio, abbiamo chiesto di raccontarci questa storia.

Cosa ha significato la presenza della Nazionale a Quarto?
“Sicuramente la presenza della Nazionale è stato il momento più alto nella storia di questa squadra: un progetto di legalità avviato un anno e mezzo fa, per iniziativa della Procura distrettuale antimafia, che ha affidato la squadra a Sos Impresa, l’associazione antiracket e antiusura, per restituire alla città questa società sequestrata a presunti affiliati o capiclan della famiglia Polverino, ora in carcere in attesa di giudizio. Per la mafia e la camorra avere una squadra di calcio significa prestigio, consenso, estorsioni camuffate sotto forma di sponsorizzazione, un più facile riciclaggio di denaro perché nel mondo del calcio la tracciabilità è più debole. La Procura ha pensato di utilizzare la squadra di calcio come simbolo del riscatto di questa città. Dopo il sequestro, la società era andata in crisi, era retrocessa in Promozione, aveva accumulato debiti, i giocatori erano scappati. Noi abbiamo provato a rilanciare il club”.

Come avete fatto?
“Abbiamo creato un progetto di azionariato popolare per coinvolgere il più possibile persone, soprattutto giovani, scuole, parrocchie. Tra i primi nostri grandi sostenitori ho trovato le parrocchie e il vescovo di Pozzuoli, monsignor Gennaro Pascarella, che ieri era presente quando è arrivata la Nazionale. Attraverso l’azionariato popolare riusciamo a sostenere gran parte dei costi della squadra, ma non è facile gestire questa situazione, considerando che la parte imprenditoriale più importante della città non è partecipe. Abbiamo vissuto il primo anno caratterizzato da successi sul campo perché i giocatori ce l’hanno messa tutta: condividono questo progetto di legalità e hanno dato il meglio per portare la squadra in Eccellenza, girone nel quale adesso siamo primi con il Giugliano”.

Qui è in gioco non solo lo sport…
“Il valore di queste vittorie non è solo calcistico: ogni goal vale il doppio perché se vinciamo, si rafforza il progetto di legalità fuori dallo stadio. Noi carichiamo le partite di un significato non solo sportivo, ma sociale, perché i ragazzi guardano a questa squadra con un’attenzione che non hanno mai avuto prima. Questa squadra è un simbolo importantissimo di riscatto. Lo stadio è diventato in questo anno e mezzo un presidio di legalità permanente. Tutte le iniziative di cambiamento e liberazione di questa città dal condizionamento mafioso che le scuole, le parrocchie, il volontariato mettono in campo passano dallo stadio”.

Non avete mai avuto difficoltà?
“Ci sono state molte intimidazioni, che hanno tentato di scoraggiare i giocatori, di allontanare i tifosi, di indebolire il progetto. Appena è cominciata l’esperienza, hanno rubato tutte le scarpette dei giocatori; dopo un mese, hanno tagliato le reti nello stadio. Il più eclatante atto intimidatorio è stato a gennaio 2013 il furto dei trofei e gagliardetti del torneo della legalità giocato un mese prima con Libera, magistrati e giornalisti. Dopo questo episodio, la squadra ha perduto qualche colpo, ma poi ci siamo ripresi tanto che abbiamo vinto il campionato. Il nostro è un progetto in progress. Con l’arrivo della Nazionale ha segnato il punto più alto, ma pur sempre di passaggio: molto è stato fatto, molto è ancora da farsi”.

Qual è l’obiettivo finale?
“Essere in grado di riconsegnare la squadra e lo stadio alla parte sana della città. Il nostro obiettivo è non affidare la gestione della squadra a una stretta cerchia di imprenditori, ma di cercare di rafforzare un azionariato popolare permanente, per far partecipare l’intera città a questa esperienza, sostenendola e difendendola. Finora hanno aderito all’azionariato popolare circa mille persone, ma il nostro obiettivo è molto più ambizioso: ventimila adesioni. Il cammino è ancora lungo”.