EDITORIALE

La scomoda “verità” e la ricetta di Juncker

Il presidente della Commissione segnala che “all’Ue manca l’unità e manca anche l’Europa”. Servono solidarietà e risposte comuni alle sfide in atto

L’Europa “in cui voglio vivere è quella dei volontari che accolgono i profughi, che tendono loro la mano” lungo il confine tra due Stati, in una stazione ferroviaria, in un centro di primo ristoro… L’Europa di quei cittadini che vedono nei migranti “delle persone da aiutare”, senza badare al loro passaporto, all’etnia, al credo religioso. Neppure alla convenienza o ai violenti discorsi dei populisti di ogni sorta. Jean-Claude Juncker, lussemburghese, per quasi vent’anni premier nel Granducato, da meno di un anno presidente della Commissione europea, ha da tempo abituato gli osservatori a smarcarsi da una certa ufficialità e dai rituali che risiedono nei palazzi comunitari. Rivolgendosi oggi al Parlamento Ue, a Strasburgo, per il suo primo discorso sullo “Stato dell’Unione”, snocciola una serie di priorità per rispondere “alle innumerevoli sfide” che l’Ue ha di fronte.
Così al primo posto Juncker colloca la questione dei rifugiati, ma non trascura il caso-Grecia, la situazione economica e occupazionale del Vecchio continente, il tema della sicurezza, l’Unione dell’energia e l’Unione monetaria, i dubbi britannici sulla permanenza nella “casa comune”. Interrotto di tanto in tanto da qualche isolata voce euroscettica, risponde educato ma fermo: e l’emiciclo stracolmo di eurodeputati gli riserva una lunga serie di applausi. Sono tre i termini evocati – e un quarto resta forse sottinteso – attorno ai quali imbastisce il suo intervento, che nei fatti sarà il programma di lavoro della Commissione per i prossimi dodici mesi: verità, unità, solidarietà.
“È il momento della verità per l’Europa”, afferma. “La nostra Unione europea non versa in buone condizioni. Manca l’unione in questa Ue, e manca anche l’Europa”. Juncker, pragmatico non meno che idealista, sottolinea come le innumerevoli sfide che richiedono una risposta efficace da parte dei 28 non possono attendere oltre. Preso atto delle differenti posizioni e dei divergenti interessi che emergono a ogni passo tra gli Stati membri (una verità che non si può tacere), occorre ripartire da – secondo elemento – una “unità di intenti”, perché gli ostacoli da superare vanno ben oltre la capacità di risposta dei singoli Paesi. L’Ue deve riscoprire di essere fondata – avverte il capo dell’Esecutivo – sulla “solidarietà”, il cemento che dal dopoguerra tiene insieme Paesi diversi per storia, lingua, cultura e interessi d’ogni sorta.
“Oggi la priorità è e deve essere la crisi dei rifugiati”, spiega Juncker. Servono regole (“quelle sull’asilo ci sono, ma vanno rispettate”), determinazione politica e soldi. Non nega che le folle di migranti in arrivo da Africa e Medio Oriente, attraverso il Mediterraneo e la rotta balcanica, siano un “problema” e un costo. Ma ne prende atto e cerca – come dovrebbe fare la politica in senso ampio – la soluzione più praticabile.
Nel suo discorso l’inquilino del Palazzo Berlaymont potrebbe essere più preciso nell’identificare chi da tempo, e senza risparmio, si sta muovendo nella direzione dei profughi: tra questi, in prima fila, il volontariato cattolico (assieme a quelle di altre fedi religiose), le Caritas, tante diocesi e parrocchie (non tutte, è vero, come ha fatto notare lo stesso Papa Francesco). E come trascurare la voce autorevole di Bergoglio, levatasi nel 2013 a Lampedusa e ancora di recente per ricordare a ogni persona “di buona volontà” che un’emergenza umanitaria richiede anzitutto di aprire il proprio cuore e i confini del proprio Paese per salvare vite umane, globalizzando la solidarietà.
Comunque il lussemburghese vola alto nel discorso di Strasburgo, sapendo che nella ritrovata accoglienza dei rifugiati si sperimenta in questa fase una embrionale volontà e capacità degli europei di procedere insieme. “Si tratta di una questione di umanità”, dice. “Stiamo combattendo contro lo Stato islamico, perché non dovremmo essere pronti ad accettare le persone che fuggono” dai Paesi martoriati dall’Isis, dalle violenze o dalla fame?
Tutte le altre “sfide” – dal lavoro all’Ucraina, dal trattato commerciale con gli Stati Uniti all’Agenda digitale, dal mercato unico alla difesa dell’ambiente, fino al referendum britannico sulla permanenza nell’Unione – possono essere superate in questo triplice spirito di verità, unità e solidarietà. Davanti a sé, nell’aula di Strasburgo, Juncker ha gli eurodeputati; ma si intuisce che – con una certa enfasi – il presidente della Commissione vorrebbe rivolgersi direttamente ai cittadini europei. Così che il quarto termine per la nuova Europa di Jean-Claude sembrerebbe essere “responsabilità”. Responsabilità individuale e collettiva, con la quale si costruiscono le democrazie partecipative. Un’Europa oltre le cancellerie, oltre i nazionalismi, oltre i muri che risorgono dopo la provvidenziale caduta della Cortina di ferro.