UN ANNO FA LA GUERRA

“Nella Striscia di Gaza” “si cammina ancora” “tra macerie e delusione”

Sono trascorsi dodici mesi dal conflitto tra Israele e gruppi armati palestinesi. “In questo tempo – spiega padre Raed Abusahlia, direttore di Caritas Jerusalem – non è cambiato nulla a Gaza. Quartieri interi distrutti. Ci vorranno almeno 5 anni per rimettere in sesto quello che è stato distrutto in 51 giorni… Serve aiuto soprattutto ai più piccoli”. La denuncia: “Dei 5 miliardi di dollari promessi dai Paesi donatori non si è visto nulla”

Preceduta da un pesante lancio di razzi di Hamas dalla Striscia e dagli attacchi aerei di risposta da parte dell’aviazione, l’8 luglio 2014 Israele dava il via all’operazione "Margine Protettivo". L’obiettivo era porre fine al lancio di razzi sul Paese e distruggere i tunnel dei miliziani scavati da Gaza per penetrare in territorio ebraico e colpire i civili. Cinquantuno giorni di guerra – la terza in 6 anni – che provocarono, secondo il rapporto del Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu, la morte di 2.251 palestinesi di cui 1.462 civili (tra i quali 299 donne e 551 bambini) e 789 combattenti. Diecimila i feriti. I morti in campo israeliano furono 73, di cui 67 militari. Mille e seicento i feriti. I raid aerei israeliani furono oltre 6mila e circa 50mila i colpi sparati da terra. In più, il 17 luglio 2014, l’esercito con la Stella di David fece ingresso nella Striscia. Dal canto loro i gruppi armati palestinesi lanciarono in quel periodo 4.881 razzi e spararono 1.753 colpi di mortaio. Uno scontro durissimo che, secondo la Commissione indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite sul conflitto a Gaza nel 2014, avrebbe dato adito a "crimini di guerra" commessi tanto da Israele quanto dai palestinesi.

Ferite ancora visibili. Un anno dopo le ferite di questo conflitto sono sotto gli occhi del mondo. Visibili come le macerie delle 18mila strutture distrutte o severamente danneggiate. Poche le case riparate. Fonti locali e organismi internazionali operanti a Gaza stimano che siano almeno 100mila i gazawi costretti a vivere in alloggi di fortuna e oltre 8mila i senza tetto, circa il 5% dell’1,8 milioni di abitanti che sovrappopolano i 362 chilometri quadrati della Striscia dove le strutture sanitarie, la rete idrica e le scuole sono ancora in gran parte distrutte o danneggiate. Gaza vive una continua emergenza umanitaria. I finanziamenti (5 miliardi di dollari) promessi dai donatori internazionali durante la conferenza al Cairo dell’ottobre 2014 arrivano lentamente, così come i materiali per la ricostruzione, che Israele permette di far entrare attraverso il valico di Erez. Secondo la Banca mondiale, nella Striscia si registra il più alto tasso di disoccupazione al mondo, pari al 40%, che sale al 60% tra i giovani che sono la maggioranza della popolazione. Crisi occupazionale che colpisce anche i laureati, con il 40% di loro che non riesce a trovare un lavoro. Oxfam, ong specializzata in aiuto umanitario e progetti di sviluppo, in una nota ricorda che l’80% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari per la sopravvivenza. La stessa produzione agricola è diminuita del 31% solamente nell’ultimo anno. Con il collasso economico dietro l’angolo – il Pil corrente di Gaza è crollato di 3,9 miliardi di dollari – sono sempre di più i giovani che in cerca di un lavoro rischiano la vita, scavalcando le recinzioni al confine con Israele. In totale sono oltre 300mila i giovani e i bambini che attualmente hanno bisogno di assistenza psicologica per riuscire a superare i traumi e le sofferenze causate dai conflitti. Save the Children ha diffuso in questi giorni uno studio sui bambini della regione. L’89% soffre ancora di forti paure; più del 70% dei piccoli teme un altro conflitto; e ancora: 7 bambini su 10 hanno incubi notturni, nelle zone più colpite, percentuale che raggiunge la quasi totalità nelle città di Beit Hanoun (96%) e Khuza (92%). Stallo anche nel processo politico con Hamas che continua a governare la Striscia ma con l’emergenza Stato Islamico (Isis) interessato a insediarsi a Gaza, come testimonierebbero alcuni attentati contro Hamas, i cui sospetti ricadrebbero sull’Isis. Non si registrano sviluppi positivi nemmeno nel dialogo con l’Autorità palestinese (Anp) e con l’Egitto. Men che meno con Israele con cui è in ballo uno scambio di prigionieri e una tregua pluriennale.

Il commento della Caritas Jerusalem. "Non è cambiato nulla – spiega con amarezza padre Raed Abusahlia, direttore di Caritas Jerusalem – a Gaza si cammina tra le macerie e la delusione della gente è palpabile. Quartieri interi distrutti. Ci vorranno almeno 5 anni per rimettere in sesto quello che è stato distrutto in 51 giorni. Dei 5 miliardi di dollari promessi dai Paesi donatori non si è visto nulla. E anche la solidarietà della gente comune è finita. Come se la guerra fosse finita e tutto fosse tornato a posto. Ma non è così. E i numeri della distruzione lo stanno a testimoniare. Nessuno qui nutre più speranze per un futuro migliore. La nostra stessa comunità cristiana, circa 1.300 persone di cui poco meno di 200 cattolici, se mai dovessero aprire i valichi di confine, lascerebbe la Striscia subito". Gaza ha bisogno di aiuto e padre Raed non ha timore di alzare la voce per ribadirlo: "Serve aiuto soprattutto ai più piccoli. I bambini di Gaza sono malnutriti. Da due mesi, come Caritas, abbiamo lanciato una campagna annuale di assistenza alimentare per 5.000 bambini. Il costo da sostenere è di 400mila euro, è l’unica cosa che possiamo fare adesso. La situazione è davvero difficile e a questo si aggiunga il caldo, le precarie condizioni igieniche, la mancanza di acqua e di energia elettrica che viene erogata per circa 4 ore al giorno. Dopo un anno non basta ricostruire Gaza, ma la speranza della sua gente, per evitare conflitti futuri".