“Dalle donne italiane emigrate riceviamo un insegnamento per rispondere in positivo allenuove sfide dell’immigrazione”. E’ una delle considerazioni di Patrizia Toia, sottosegretario agliEsteri, al seminario “Donna in emigrazione”, che si sta svolgendo in questi giorni a Roma. “E’importante – ha osservato Toia – recuperare sul piano storico un grande patrimonio di vita,che ha visto come protagoniste le donne italiane emigrate all’estero. Donne, madri elavoratrici, che hanno dovuto cercare il raggiungere il difficile equilibrio fra integrazione in unanuova realtà e affermazione della propria identità nazionale. La loro condizione è simile aquella di tante donne immigrate in Italia. E’ un punto di riferimento per affrontare le nuove sfidedell’emigrazione”. Da un’ottica ecclesiale, nota padre Bruno Mioli, direttore dell’Ufficio per lapastorale degli immigrati esteri in Italia, questa considerazione richiama alla riflessione il casodelle cosidette “vedove bianche”, cioè di quelle donne che rimanevano in Italia con i figli,mentre i mariti emigravano all’estero. Per quanto riguarda l’immigrazione stiamo assistendo alprocesso contrario. Dalle aree cattoliche, Filippine, America Latina, Capoverde arrivano inItalia le ‘vedove bianche’, chiamate dal mercato della collaborazione domestica.Rappresentano i due terzi dell’immigrazione da quei paesi e lasciano nella terra d’origine lafamiglia, i figli”. Si ripropongono, forse ampliati, gli stessi problemi delle ‘vedove bianche’italiane. “La nostra comunità cristiana e la società civile – osserva padre Mioli – devonomisurarsi con questa realtà. Il tipo di lavoro crea difficoltà nei ricongiungimenti familiari, chesono l’indice di un avvio deciso dell’inserimento. Mentre per l’area musulmana, dove èprevalente l’emigrazione maschile, i ricongiungimenti procedono velocemente, per quellacattolica, anche per le distanze geografiche, si contano solo a centinaia. Si potrebbe