Settima arte
“Esistono luoghi narrativi che enfatizzano maggiormente la dimensione voyeuristica del cinema. Il confessionale appartiene a questo genere di luoghi”. Lo ha affermato questa mattina monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, parlando de “La Chiesa in scena. Lo sguardo del cinema sulle Chiese” nel corso del XIV Convegno liturgico internazionale in svolgimento da oggi al Monastero di Bose. “L’accesso al confessionale è interdetto se non al prete e al ‘penitente’”, ha osservato mons. Viganò, ma “il cinema aggiunge un terzo incomodo, la macchina da presa e con essa il nostro sguardo impertinente”. “Talvolta – ha aggiunto – per amplificare il senso di visione di luogo interdetto vengono inseriti tra lo schermo e ciò che accade una grata o viene interposta una sorta di separazione quasi un elemento di disturbo alla normale fruizione della scena”. Si tratta quasi di “un’esplicitazione simbolica che tra vita nello schermo e vita nella fruizione esiste un ostacolo, un invalicabile limite che permette un contatto mediato e non diretto”. Nel suo intervento, mons. Viganò ha anche parlato del “punto di vista” offerto dai film ambientati, anche solo in parte, nelle Chiese, evidenziando come possa essere “umano” o “divino”. “Il cinema, molto spesso, è una questione di sguardi”, ha affermato il prefetto. Ci si può imbattere come in “Love exposure” in “uno sguardo intimidatorio” come se Maria e Gesù “fossero figure giudicanti pronte ad emettere condanne ed anatemi” o nello “scambio di sguardi” tra il Cristo in croce e il cavaliere in “Il settimo sigillo” che “non è di oppressione ma di intima vicinanza”.