Scienza
“Nato nel 1942, è sempre stato molto brillante. L’Accademia delle Scienze al tempo di Paolo VI gli ha conferito il premio che diamo ai brillanti scienziati giovani che hanno meno di 45 anni. Abbiamo una foto bellissima. Già manifestava i segni della malattia, era seduto su una sedia a rotelle e Paolo VI si inginocchia davanti a lui per dargli questo premio”. Mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, esordisce con questa bella immagine tracciando per il Sir un ricordo di Stephen Hawking, l’insigne astrofisico morto nelle prime ore di oggi nella sua casa di Cambridge, all’età di 76 anni, membro dell’Accademia. Da oltre 50 anni malato di atrofia muscolare progressiva, una sindrome correlata alla Sla, parlava attraverso un sintetizzatore vocale. Nel 2016, alla plenaria dell’Accademia, incontrò Papa Francesco che in quell’occasione lo benedì e ringraziò per il suo impegno per l’istituzione.
“E’ rimasto sempre molto fedele all’Accademia – prosegue Sánchez Sorondo -. E’ venuto tutte le volte che ha potuto. Era sempre un’impresa organizzare questi viaggi perché doveva venire in ambulanza e con tutto un seguito di persone. La sua presenza è stata sempre molto importante, come le sue collaborazioni”.
Quale il suo contributo più significativo all’Accademia? Hawking “appartiene alla scuola di Oxford che fa molte speculazioni sull’origine e sulla fine dell’universo, ma ha anche spaziato in altri argomenti tra cui il destino della vita umana sul pianeta. Pensava che alla fine saremmo dovuti andare in un altro pianeta ma ancora non ne abbiamo la possibilità”. Tuttavia, prosegue il cancelliere, per lo scienziato “il problema era l’origine dell’universo. Tutti dicono che era ateo ma io posso affermare che non lo era. Ogni volta che parlava con i Papi – ha conosciuto Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI che lo benedì e Francesco – diceva loro: ‘Voglio contribuire allo sviluppo del rapporto tra ragione scientifica e fede’. Non voleva dare una spiegazione alla cosmologia religiosa perché diceva che l’origine di tutto è un problema filosofico, non scientifico. Affermava: ‘Io devo dare una spiegazione alle cose che vedo’. Questo è stato inteso come una professione di ateismo ma io non credo fosse ateo, sia per la fedeltà verso l’Accademia sia per l’interesse per il dialogo con i Pontefici”.
“Dal punto di vista della sua vita – prosegue mons. Sánchez Sorondo -, tutti ne hanno sempre ammirato la capacità intellettuale, quasi geniale, la forza ma al tempo stesso la sofferenza. Era schiavo della Sla, non poteva fare tutto quello che avrebbe voluto, ma era ammirevole per la volontà di perseverare nello studio della scienza e di comunicare le sue conoscenze agli altri e per volere un dialogo con le altre dimensioni del sapere. Un grande professionista nell’investigare e nel comunicare questa conoscenza. Vedere un uomo così straordinario tanto limitato nei suoi movimenti fisici – non poteva neanche parlare, per farlo usava uno strumento – , è stato un esempio fortissimo per l’Accademia”.