Economia
Nel 2017 l’Italia ha raggiunto e oltrepassato la soglia dei 40 miliardi ottenuti con le esportazioni agroalimentari, ma la strada per raggiungere gli altri grandi Paesi produttori è ancora lunga e complicata. E’ il messaggio arrivato oggi da un rapporto predisposto da Nomisma e presentato in occasione dell’incontro “L’agroalimentare italiano alla prova dell’internazionalizzazione” che a Bologna ha fatto un punto sugli equilibri internazionali nell’agroalimentare.
Anche Nomisma (come già altri centri di ricerca) ha preso atto che alcuni settori tipici come quello lattiero-caseario, della carne e derivati, del vino “a partire dal 2007, hanno fatto segnare incrementi medi annui dell’export superiori al 6%”. Ma le attuali – spiega una nota -, collocano “l’Italia in quinta posizione in Europa alle spalle di Olanda, Germania, Francia e Spagna a dimostrazione di come la brand reputation da sola non sia sufficiente per affrontare i mercati internazionali e garantire una leadership”. Non basterebbe quindi solo il “Nome”, ma occorrerebbero anche “conoscenza, competenza e organizzazione”. A dimostrare la presenza di difficoltà ancora da superare, ci sarebbe per esempio il fatto che “i due terzi dell’export agroalimentare italiano sono destinati a mercati di prossimità”, cioè Paesi dell’Unione Europea”. Mentre per capire la distanza che separa l’Italia dagli altri Paesi, Nomisma spiega come oggi la Germania agroalimentare ha esportazioni per un valore pari a 76 miliardi di euro, la Francia per 60,5, la Spagna per 47,7.
“Affinché l’export dei prodotti agroalimentari italiani aumenti, è indispensabile che si allarghi la base delle imprese esportatrici, in larga parte riconducibili ad aziende medio-grandi e rappresentanti una quota ancora ridotta del totale, meno del 20% del settore”, ha spiegato Denis Pantini, responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma.