Vita
“La decisione del Consiglio dei ministri di ieri di riconoscere la cittadinanza italiana al piccolo Alfie è un gesto di coraggio e di civiltà. Ora si tratta di fare in modo che non resti un pur importante passo politico”. A tal fine, le norme “permettono, in caso di pervicace diniego da parte dei giudici inglesi, di ricorrere con urgenza alla Corte di giustizia europea: la cui pronuncia nel caso specifico potrebbe salvare la vita ad Alfie evitando diatribe diplomatiche fra Stati amici”. Così il Centro studi Rosario Livatino interviene riguardo alla vicenda di Alfie Evans e al tentativo, finora negato, di trasferire il piccolo in Italia per la prosecuzione delle cure. Il Centro studi sottolinea che “nei confronti di Alfie i genitori non invocano alcun ‘overtreatment’ (o, come si dice impropriamente, accanimento terapeutico), bensì il mantenimento vitale attraverso supporti tecnici”. “Ciò – si precisa – accade ovunque vi sia un disabile grave, che non può essere ucciso o lasciato morire solo perché disabile e solo perché rappresenta un costo per il sistema sanitario”. Inoltre, “se il Regno Unito non intende garantire tale mantenimento, Alfie – attraverso i suoi genitori – ha il diritto di recarsi altrove, e in particolare nello Stato di cui è diventato cittadino per fruire del trattamento”. Infine, “né Alfie né i suoi genitori hanno commesso reati per i quali possa loro essere interdetta con atto del giudice alcuna libertà, e in particolare la libertà di circolazione”. “Poiché è immaginabile che il governo italiano non intenda limitarsi al gesto simbolico, ma punti a conseguire il risultato, le norme sui poteri dell’autorità consolare italiana, contenute nel decreto legislativo n. 71/2011 – sottolinea il Centro studi Livatino – offrono delle possibilità al riguardo”.