Convegno

Fede e cultura: Udine, dalla trincea alla parrocchia. Stiaccini (Un. Genova), espressioni della religiosità e superstizione al fronte

Don Primo Mazzolari, secondo da destra, cappellano militare in alta valle dell'Isonzo nel 1919

(Udine) La grande guerra “favorì il fiorire o risvegliò varie forme di espressione religiosa” fra i soldati al fronte, così pure “forme di superstizione”, che rispondevano alla regione di provenienze, allo stato sociale e culturale dei militari stessi. La prima linea, le sofferenze e il sangue, la paura di morire, le privazioni, la lontananza da casa sollecitarono risposte soggettive: la devozione dei credenti cattolici si esprimeva – come dimostra una linea di studi storiografici – in semplici forme di spiritualità e di preghiera, nella recita del rosario, nella devozione ai santi o al Sacro Cuore. Le immaginette sacre accompagnavano spesso i soldati di ambo i fronti della grande guerra. Così pure si trovano amuleti e corni superstiziosi che i soldati tenevano nelle tasche della divisa. “Religiosità e superstizione in trincea” è il tema trattato da Carlo Stiaccini dell’Università di Genova al convegno di Udine su “Dalla Trincea alla parrocchia: il ritorno dalla Grande guerra e la memoria”. Stiaccini ha svolto approfondite ricerche sul tema, fra archivi parrocchiali, diocesani e di santuari e istituti religiosi. Una linea di studi, “finora non sufficientemente praticata”, che mette in luce nuovi interrogativi sulla spiritualità e il culto dei giovani al fronte, sul delicato ruolo dei cappellani, sulla cosiddetta “nazionalizzazione della religione” che accompagnò il primo conflitto mondiale così come altre guerre (si parlò allora di “crociata per la patria” o addirittura di “guerra santa”).