Dialogo
“I cristiani facciano sentire la loro voce nei Luoghi Santi di Gerusalemme. Devono dire a Israele e ai musulmani: ‘Gerusalemme non è soltanto vostra ma anche nostra. Siamo partner nella soluzione per Gerusalemme’”: è quanto dichiara in un’intervista al Sir lo scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua. Passando in rassegna diversi temi legati alla situazione politica e sociale di Israele e Palestina, lo scrittore chiede ai cristiani di “essere più attivi nella ricerca di una soluzione per la pace. Soprattutto devono far sentire Gerusalemme non può essere ebraica o musulmana – penso soprattutto alla Città Vecchia – occorre essere più determinati e più attivi nella ricerca di una soluzione. Mi addolora il fatto che i cristiani lascino la Cisgiordania e Israele. È una cosa molto triste perché i cristiani hanno da sempre avuto un ruolo positivo nei rapporti tra ebrei e arabi in Israele. Essi sono un ponte che unisce ebrei e arabi”. In tema di relazioni e dialogo tra israeliani e palestinesi Yehoshua annuncia che “stiamo portando avanti un importante progetto di traduzione della letteratura palestinese in ebraico e credo che il fatto che gli arabi in Israele stiano scrivendo, traducendo e diventando sempre più parte attiva della nostra società sia il percorso migliore per il raggiungimento della pace e il consolidamento dei nostri rapporti”. La cultura, secondo lo scrittore, “ha un grande peso” nel processo di ricostruzione del tessuto umano e sociale delle società segnate da divisioni e guerre ma, avverte, “non deve diventare un mezzo di intrattenimento che domina la scena culturale fino a prevalere sulla cultura stessa. Le persone sono sempre più dipendenti da Internet, dalla televisione, dal loro telefono cellulare”. Un ruolo importante, nel contesto israelo-palestinese, lo gioca anche il dialogo interreligioso: “forse in Israele ci stiamo muovendo verso un futuro – ancora molto lontano – che vedrà la separazione tra appartenenza nazionale e religione. Questo accadrà se ci sarà uno Stato con persone di religioni diverse ma sempre appartenenti allo stesso popolo. Mi riferisco al rapporto tra religione e nazionalità. Nel Vangelo di Matteo, Gesù dice ai suoi seguaci di portare il suo annuncio alla gente, al popolo. Questo è il motivo per cui ci sono 1,5 miliardi di cristiani e solo 12 milioni di ebrei. Dobbiamo misurarci con la nostra religione al di fuori dell’appartenenza alla nazione. Questo è un aspetto drammatico e rivoluzionario al tempo stesso”.