Pedofilia
Abolire il segreto pontificio “non vuole dire che venga sdoganata la libera pubblicità da parte di chi ne è in possesso, il che oltre ad essere immorale, lederebbe il diritto alla buona fama delle persone”. A precisarlo è mons. Juan Ignacio Arrieta, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, commentando il rescritto del Papa per l’Istruzione “Sulla riservatezza delle cause”, che “richiama quanti, in qualunque modo, sono chiamate a gestire ufficialmente tali situazioni al normale segreto o riservatezza d’ufficio”. “Ciò significa – spiega Arrieta – che le persone informate della situazione o in qualche modo coinvolte nelle inchieste o istruzione della causa sono tenute a ‘garantire la sicurezza, l’integrità e la riservatezza’, e a non condividere informazioni di alcun genere con soggetti terzi, estranei alla causa. Tra i soggetti implicati nel processo, una volta avviato formalmente, c’è ovviamente l’imputato, per cui il nuovo provvedimento favorisce anche l’adeguato diritto alla difesa”. Il segreto d’ufficio, però, “in nessun caso può essere ostacolo “all’adempimento degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, compresi gli eventuali obblighi di segnalazione di eventuali notizie di reato, nonché all’esecuzione delle richieste esecutive delle autorità giudiziarie civili che, naturalmente, potrebbe obbligare alla consegna, per esempio, di materiale documentale di foro esterno”. Per Giuseppe Dalla Torre, già presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, “la caduta del segreto pontificio ha effetti generali sull’intero arco della vicenda diretta al perseguimento, in sede canonica, di comportamenti disonesti: dalla fase prodromica della denuncia, alla fase delle indagini preliminari ed a quella istruttoria, alla fase propriamente dibattimentale, fino alla decisione. Riguarda sia le procedure che si svolgono in sede locale, sia quelle che hanno luogo a Roma, presso la Congregazione per la Dottrina della fede”.