Incontro
Non rinuncia del tutto ad una messa di Natale, il 24 dicembre, in fabbrica. E richiama tutti al vero significato del Natale: l’invito “a superare o ad affrontare comunque qualsiasi situazione di difficoltà e sfiducia, con la certezza che possiamo contare sulla presenza amorevole e forte del figlio di Dio che si è fatto uno di noi per aiutarci e salvarci”. L’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, nel corso del consueto incontro con i giornalisti ha sottolineato che “oggi viviamo in un mondo in ansia, dove predominano la paura, il timore di ciò che potrebbe accadere, l’insicurezza del domani per tanti giovani e famiglie con il problema del lavoro, della casa e della povertà”. Da qui il senso del Natale che “è festa di gioia e di speranza”. Senza, tuttavia, dimenticare i problemi concreti del vivere quotidiano, prima di tutto la centralità della persone e poi del lavoro.
“Questa centralità della persona – ha detto Nosiglia –, rispetto ad ogni altro, pure importante, investimento finanziario ed economico, richiama in primo piano l’attuale situazione relativa al tema del lavoro nella nostra regione. La crisi di tante aziende, che mi appellano per avere una concreta solidarietà da parte della Chiesa, mi colpisce profondamente nel cuore e mi sento impotente di fronte a situazioni che non si riesce a risolvere come vorremmo”. L’arcivescovo quindi ha sottolineato: “Il lavoro è tornato ad essere il primo problema del nostro territorio e rischia di innescare una scia negativa a catena, che investe sempre nuove imprese e dunque produce anche nuovi e numerosi lavoratori che restano senza lavoro o con scarse possibilità per il proprio domani e quello della propria famiglia. Si dimentica che il capitale più prezioso di un’impresa, da salvaguardare e accrescere, è ogni persona che lavora”.
Da qui anche la collocazione del profitto. “Il proprio tornaconto, i guadagni finanziari e ogni altro risultato – ha detto Nosiglia –, vanno commisurati a partire da chi lavora, che non può essere considerato una merce da spostare da un territorio all’altro, per ragioni spesso di ordine speculativo o di risparmio sul personale e sulle tasse”.
Dito puntato anche sulle responsabilità dei singoli così come della collettività. “Il lavoro – ha rimarcato l’arcivescovo –, non è solo un diritto primario di ogni persona, ma è anche il primo dovere di uno Stato e dunque di un governo e di ogni altra istituzione che voglia rispondere al suo vero fine di servire il bene comune”. Nosiglia, quindi ha rivolto l’attenzione anche alla stessa Chiesa che vede come “coinvolta” e che “non può restare muta o ai margini di questo problema”.
Parlando poi della diseguaglianza, l’arcivescovo ha sottolineato come questa si combatta e si vinca “con la solidarietà e la conoscenza diretta tra le persone. Se invece ci si rassegna al fatto che oggi le vite di tanti, dei giovani soprattutto, devono essere precarie, il gioco è fatto”.
“Credo – ha quindi proseguito Nosiglia –, che ciò che conta di più, oggi come ieri, è che gli operatori economici, con spirito di solidarietà e di coraggio, sappiano cogliere l’importanza del nesso inscindibile che esiste tra scelte e indirizzi economici e il rispetto e la promozione integrale dell’uomo”.