Natale 2019
“Stefano ci insegna come vivere le situazioni difficili e problematiche della vita, dividendole in due livelli. Uno è quello della storia, fatto di successi, violenze e guerre; l’altro è quello di chi sa alzare lo sguardo vivendo dentro le difficoltà, per vedere oltre i cieli quello che è il progetto di Dio, che guida la storia, affinché nasca la speranza”. Lo ha detto il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, celebrando ieri, a Gerusalemme, la festa di Santo Stefano. La tradizione custodiale gerosolimitana del 26 dicembre prevede due celebrazioni: la messa nell’infermeria del Convento di Salvatore, insieme ai frati anziani che vi abitano, e la celebrazione dei vespri presso il luogo del martirio di Santo Stefano. Posto fuori dalla Porta dei leoni e alle pendici del Monte degli Ulivi, il luogo del martirio è di proprietà greco-ortodossa. In questo luogo si vedono chiaramente alcuni gradini scavati nella roccia, che proseguono in linea con quelli trovati nell’area sovrastante, in cui era situato in tempio. Durante la recita dei vespri, fr. Gabrijel Bosnjak, diacono e studente dello Studium Teologicum Jerosolymitanum, commentando la figura del protomartire, ha ricordato che questa “si pone quasi in contrapposizione con la nascita di Gesù. A prima vista può sembrare un paradosso: dopo la nascita di Gesù celebriamo una morte crudele di un suo discepolo. La vita e la morte di santo Stefano ci mostrano che il Natale è molto di più di un luccichio, che veramente ne vale la pena”. Il diacono ha poi terminato il suo commento ricordando le parole di padre Hanna Jallouf, guardiano del convento di Knayeh, in Siria, che ha definito Cristo “la nostra ancora di salvezza”.