Messaggio
“Tutti e tre insieme raggiungono a malapena i 30 anni. Il più attempato è Giuseppe, che ne avrà 15 o 16. Maria, secondo l’uso del tempo, gli è destinata come sposa verso i 13 o 14 anni. Gesù poi, essendo appena nato, non può contribuire ad accrescere l’età complessiva della ‘Santa Famiglia’. Due giovanissimi e un neonato sono al centro del mistero del Natale. Il Figlio di Dio viene al mondo nel grembo di una ragazza e si affida alle braccia di un ragazzo. La sapienza eterna di Dio entra nella vita terrena consegnandosi a due adolescenti sconosciuti, non a due anziani saggi e ammirati”. Lo scrive mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e amministratore apostolico di Carpi, nel messaggio di Natale inviato ai fedeli delle due diocesi.
“Questi due giovani – prosegue –, con il loro bimbo, sono da venti secoli un modello di accoglienza. Maria e Giuseppe aderiscono prima di tutto al progetto di un Dio che sconvolge i loro disegni umani. Poi consentono di nascere ad una vita concepita troppo presto rispetto alle loro previsioni. Infine accettano di muoversi dentro le condizioni di fragilità in cui il Signore li ha posti, adattando a culla una mangiatoia e ricevendo dei semplici pastori come ospiti. Tre grandi, scomodi e attualissimi gesti di accoglienza: di una volontà divina così diversa dalla nostra, di una vita nascente inattesa, di situazioni segnate da precarietà e povertà. Quei due ragazzi hanno saputo accogliere, perché non solo la loro età, ma anche il loro cuore era giovane. Il cuore invecchiato si difende, il cuore giovane si affida. Si può avere un cuore giovane anche a 80 suonati e un cuore vecchio anche a 20 anni”. “Al di là dei luoghi comuni sui giovani – conclude mons. Castellucci –, è evidente il disagio giovanile, peraltro specchio del disagio adulto, la ‘santa famiglia’ incoraggia ad imparare dai giovani. Ci stanno educando ad ascoltare ‘tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri’ (Laudato si’, 49). Ci stanno dicendo che il futuro è degli operatori di pace, di fraternità e di giustizia. Ci stanno invitando a creare spazi di prossimità, perché si appassionano di più alle relazioni che alle istituzioni. Ci stanno chiedendo di essere più autentici, di pensare anche a loro, di farci più responsabili verso le prossime generazioni”.