Messaggio
“La non accoglienza di Dio nella nostra vita rispecchia tante altre nostre chiusure: il rifiuto inconsapevole di noi stessi che si traduce in scelte egoistiche; una sempre più dilagante cecità che diventa spesso ostilità verso il bisogno dell’altro. Infine, l’indifferenza verso il creato del quale sappiamo sfruttare la ricchezza, senza imparare a custodirlo come nostra casa comune”. Lo ha scritto mons. Francesco Massara, amministratore apostolico di Fabriano-Matelica, nel suo messaggio natalizio.
“In questi mesi trascorsi con voi – rileva il presule –, ho constatato la grave situazione in cui versa questo territorio. Dopo aver conosciuto anni di benessere grazie alle numerose e fiorenti attività produttive, il dissesto economico globale, il trasferimento all’estero di molte fabbriche e la drastica riduzione di investimenti nel settore industriale ha provocato un contraccolpo pesantissimo per molte famiglie. La bellezza paesaggistica di questo territorio e la ricchezza culturale, storico-artistica custodita nei molti musei di Fabriano e dintorni, non sembra essere più sufficiente ad attirare turismo e dare nuovo impulso all’economia locale”.
Nonostante “questa situazione così precaria e disorientante”, “per noi cristiani è importante saper alimentare l’atteggiamento di speranza senza mai perdere di vista lo spirito della condivisione e della gratuità. A volte, la perdita delle nostre sicurezze può rappresentare uno stimolo alla ricerca di vie alternative attraverso il dialogo, la conoscenza reciproca e l’apertura all’altro mettendo a disposizione ciò che siamo prima di ciò che abbiamo”.
Accogliere il Signore significa allora “saper riconoscere queste ‘possibilità’ presenti nella nostra vita spesso in modo silenzioso e nascosto, altre volte in maniera eclatante e visibile. La nascita di un figlio, anche nelle difficoltà contingenti, rappresenta il dono più bello che rallegra il cuore e rinnova il mistero della vita”. Infine, l’invito: “Accogliamo con amore e gratitudine il Figlio di Dio che viene tra noi attraverso i gemiti del parto, condividendo le nostre fatiche e facendosi umiliare fino alla fine dalla nostra indifferenza. Con la nostra accoglienza, cerchiamo di modificare l’esito drammatico del Vangelo e, invece del rifiuto, impegniamoci a riconoscere che siamo quelli che Egli è venuto a salvare: ‘i suoi’”.