Testimonianze/3
Viaggio in Senegal, dove cristiani e musulmani vivono pacificamente assieme collaborando anche per fermare il fenomeno dell’emigrazione. Un esempio che anche Papa Giovanni Paolo II nel suo viaggio del 1992 in questa parte d’Africa ha voluto evidenziare come un esempio, ricordando come sia fattiva la partecipazione tra guide religiose, nella scuola e anche nella realizzazione di chiese, moschee e cimiteri come quello sull’isola di Fadiouth, dove le croci cristiane si alternano alle mezzelune islamiche. “Una lunga tradizione”, per il vescovo di Dakar mons. Ndiaye, “Un’eredità preziosa” per la quale pregare e vegliare, secondo mons. Gueye vescovo di Thies, per continuare in un cammino di pace, fraternità, dialogo e incontro
Se si pensa al Senegal si è portati a parlare solo di emigrazione, mentre molto meno ci si interessa al fatto che in un territorio dove risiedono oltre 16 milioni di persone (con un tasso di crescita di circa 500mila abitanti ogni anno), convivano pacificamente musulmani, che rappresentano circa il 95% della popolazione, e cristiani che raggiungono circa il 5%.
Anche Papa Giovanni Paolo II, nella sua visita del febbraio 1992, sottolineò il valore di questa convivenza che faceva del Paese un esempio “all’arrivo dei primi Cristiani nella sua terra, il popolo senegalese ha dato al mondo un buon esempio di questa collaborazione” (Dal discorso di Giovanni Paolo II ai capi religiosi musulmani – Camera di Commercio di Dakar (Senegal) – Sabato, 22 febbraio 1992), ricordando come sia fattiva la partecipazione tra guide religiose, nella scuola e anche nella realizzazione di chiese, moschee e cimiteri come quello sull’isola di Fadiouth.
Si deve camminare a lungo su un ponte di legno per raggiungere l’isola, conosciuta per la distesa di conchiglie che lastricano le piccole vie del luogo, ma nota anche per il cimitero cristiano e musulmano. Qui, le tombe degli abitanti di fede cristiana sono poste ad occidente e contraddistinte dalla croce bianca con sopra scritto “Ici repose”, mentre quelle ad oriente, segnate dalla mezzaluna islamica, accolgono le spoglie delle persone di fede musulmana.
La terra unisce i morti sotto e i vivi sopra, infatti sono numerosi gli eventi nei quali si possono vedere musulmani e cristiani condividere momenti di fede, come il pellegrinaggio mariano di Popenguine che si svolge ogni anno il lunedì di pentecoste nella Basilica di Nostra Signora della liberazione e che, per la 130ma edizione del 2018 dal titolo “O Marie, aide-nous à dire Oui au Seigneur” (O Maria, aiutaci a dire di sì al Signore), è caduto proprio il 21 maggio, festa di Maria madre della Chiesa.
“Questa giornata non è solo per i cristiani senegalesi ma per tutto il Paese, perché è un pellegrinaggio nazionale. Ci sono anche delle delegazioni musulmane presenti. È per dire che in Maria le religioni si ritrovano, dato che sia i cristiani che i musulmani venerano Maria. Per noi è una pietra fondamentale per far avanzare il dialogo”, spiega al Sir monsignor André Gueye, vescovo della diocesi di Thies, che descrive la scelta di Papa Francesco di indire nello stesso giorno del pellegrinaggio mariano senegalese il giorno di venerazione di Maria madre della Chiesa, una conferma della loro devozione e un incoraggiamento della Chiesa universale.
Un affidamento alla Madonna che anche il vescovo di Dakar, mons. Benjamin Ndiaye, ha interpretato in un passaggio del suo intervento nel quale ha esortato a dire “sì alla vita in contrasto con aborti, omicidi di bambini, omicidi rituali e violenza omicida”, invitando nel contempo i politici senegalesi a preoccuparsi di più della difficile situazione della popolazione, impegnandosi per un vero cambiamento di mentalità e comportamento che promuova sicurezza, equilibrio di opportunità e giustizia.
Politici che, seppur musulmani, erano presenti alla cerimonia cristiana, ascoltando le raccomandazioni del vescovo della capitale che al Sir ha spiegato la ricetta della convivenza pacifica tra religioni: senza la pretesa di essere modelli per gli altri, vede come una grazia concessa da Dio al popolo senegalese che si apprezza nelle sue differenze, si ascolta, si rispetta.
“Per questa condizione, il dialogo interreligioso è molto importante ed è una lunga tradizione il modo in cui l’islam e il cristianesimo cooperano in termini di accettazione e collaborazione”, dice mons. Ndiaye, che sottolinea l’importanza dell’appello di Papa Francesco ad andare nelle periferie per incontrare le persone, ascoltarle, pregare con loro e vedere anche come poterle aiutare a migliorare le loro condizioni di vita. Parallelamente, il vescovo di Dakar denuncia il limite dei mezzi economici che impediscono di realizzare nuove chiese, fondare delle parrocchie per essere più vicini alle persone sul territorio: “da questo punto di vista siamo ancora una Chiesa molto povera che spesso non ha i mezzi per le proprie ambizioni”.
Una convivenza che non lascia indifferente mons. Gueye, vescovo di Thies e responsabile della commissione di dialogo interreligioso islamo-cristiano per la conferenza episcopale senegalese, che sottolinea “siamo contenti delle belle e cordiali relazioni che esistono tra cristiani e musulmani, ma certamente dobbiamo essere vigilanti e continuare gli sforzi comuni per stare su questo cammino”.
Relazioni nella pace, nella fraternità e nel rispetto che mons. Gueye ci tiene a ribadire essere frutto di un impegno specifico, dove sono rilevanti gli appelli costanti dei capi religiosi, cristiani e musulmani, a continuare su questo cammino, aiutati anche dai diversi “matrimoni con disparità di culto” che, seppur con qualche difficoltà, rafforzano il dialogo interreligioso. “Ci sforziamo di conservare il dono di Dio della bella armonia tra cristiani e musulmani – spiega -. È un’eredità preziosa quando vediamo tutto ciò che succede altrove. Noi preghiamo, vegliamo perché il Signore ci faccia sempre avanzare sul cammino della pace, della fraternità, del dialogo e dell’incontro”.
Impegno che il vescovo di Thies riallaccia all’invito di Papa Francesco di uscire ed avere il “cuore aperto verso tutti coloro che Cristo ci fa incontrare, non solo tra di noi”, ricordando l’impegno della Chiesa senegalese dell’annuncio “ad gentes” che porta ogni anno nuovi catecumeni che abbracciano la fede ma che, soprattutto, concentra lo sforzo verso il fenomeno della sofferenza giovanile che porta poi all’emigrazione, “La Chiesa, nonostante i pochi mezzi economici di cui dispone, cerca di educare alla solidarietà, perché possiamo portare la speranza a questi giovani che vanno all’avventura visto che non hanno qui i mezzi per costruire il loro avvenire. Abbiamo la consapevolezza che bisogna costruire il Senegal ma ci apriamo anche alla periferia di cui parla il Papa, invitando tutte le Chiese partner a sostenere questo sforzo perché i nostri giovani possano prendere in carico il loro futuro e restare nel Paese per costruire il Paese”.
Quello dell’emigrazione viene descritto da mons. Benjamin Ndiaye come un fenomeno generale in Africa, ma, sottolinea: “è qui a livello locale che dobbiamo cambiare le condizioni dei nostri paesi. Ci stiamo lavorando, la Chiesa fa della sensibilizzazione. Vogliamo anche scrivere una lettera pastorale sulle emigrazioni, per invitare ad una migliore presa in carico di questi temi che sono importanti per l’avvenire dei nostri giovani”.