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A Lecce i 100 anni di padre Vincenzo Tirabovi che racconta il segreto della sua longevità

Padre Vincenzo Tirabovi ha festeggiato i suoi primi 100 anni, divenendo uno dei sacerdoti più anziani al mondo. Ordinato sacerdote il 24 febbraio 1945, celebra messa nella chiesa di Santa Maria dell’Idra di Lecce e aveva scritto già nel nome quale sarebbe stata la sua vocazione, che lo ha portato già da giovanissimo ad incontrare la comunità nata su ispirazione di san Vincenzo de’ Paoli

Nello stesso anno in cui il Giappone adottava il calendario gregoriano e negli Stati Uniti d’America iniziava l’era del proibizionismo, in Italia don Luigi Sturzo fondava il Partito Popolare Italiano e nascevano personalità come il politico Giulio Andreotti, il calciatore Valentino Mazzola, la cantante Nilla Pizzi, il ciclista Fausto Coppi e lo scrittore Primo Levi, proprio ad Eboli, nel paese che ispirò il titolo del romanzo autobiografico di quest’ultimo, il 5 novembre 1919 nasceva anche Vincenzo Tirabovi che la scorsa settimana ha festeggiato i suoi primi 100 anni, divenendo uno dei sacerdoti più anziani al mondo.

Ordinato sacerdote il 24 febbraio 1945, padre Tirabovi celebra messa nella chiesa di Santa Maria dell’Idra di Lecce e aveva scritto già nel nome quale sarebbe stata la sua vocazione, che lo ha portato già da giovanissimo ad incontrare la comunità nata su ispirazione di san Vincenzo de’ Paoli. Precisamente a Teramo, dove quando aveva appena 2 anni si era trasferito con la mamma e 4 tra fratelli e sorelle, per seguire il padre che era arruolato nella Guardia di Finanza.

“Io sono cresciuto a Teramo. Come Gesù è nato a Betlemme ma è chiamato il nazareno perché ha vissuto a Nazareth, così io mi considero teramano perché li sono stato dai 2 ai 12 anni”.

Quali sono i ricordi che ha della sua infanzia?

Ero ragazzo ricordo la perdita di mio padre, la morte del mio papà. Io avevo 7 anni e restammo cinque figli con mia madre vedova.

Come è nata la tua vocazione e come mai proprio nei vincenziani?

Da ragazzo imparai a servire messa frequentando la cappella annessa all’ospedale di Teramo, dove prestavano servizio le Figlie della carità. Ogni mattina, con le mie sorelle, andavo in chiesa.

Un giorno venne un sacerdote mai incontrato prima, si chiamava De Angelis, che mi vide e si mostrò tanto benevolo nei miei riguardi. Una delle volte in cui è tornato mi ha chiesto “ti piacerebbe essere missionario come lo sono io?”. Io risposi di si perché era bello fare il missionario.

Andai in famiglia e dissi alla mamma “ho incontrato un prete tanto bravo e gentile, che si è mostrato tanto buono con me e mi ha domandato se volevo fare il missionario. Io ho risposto di si”. La mamma mi disse “poi vediamo”, perché facevo la quarta elementare.

Il tempo passò e questo missionario, tornando, volle parlare con mia madre. Tutti quanti i conoscenti di famiglia mi sconsigliavano questa scelta e alcuni dicevano anche a mia madre “perdi un figlio”. Io no, fui deciso e, presi tutti gli accordi.

Dopo aver frequentato dall’ottobre 1931 al 1936 la scuola apostolica di Lecce per compiere i cinque anni di studio del ginnasio, è stato poi destinato in una casa vincenziana ad Oria, in provincia di Brindisi, dove ha svolto il noviziato per poter approfondire la conoscenza della comunità, delle regole, gli usi e le pratiche. L’anno stesso il trasferimento a Napoli per proseguire gli studi, resi non proprio semplici da quanto stava accadendo in quegli anni: iniziava infatti nel 1939 la Seconda Guerra Mondiale.

Come sono stati quegli anni?

C’erano bombardamenti notte e giorno a Napoli. La fame. Non si trovavano i viveri, tutto era limitato. Noi eravamo giovani e la casa dove eravamo era grande, cinque piani. A salire e scendere le scale sentivamo la debolezza. Tanti miei compagni presero anche la tubercolosi.

Poi nel 1942 venimmo a Lecce assieme ai professori, perché ci fu l’ordine di lasciare la città di Napoli, e terminammo qui gli studi.

Il 24 febbraio 1945 fui ordinato sacerdote, insieme con altri compagni, e rimasi a Lecce fino al 1951. Divenuto sacerdote mi diedero l’impegno di fare da padre spirituale agli apostolini, coloro che volevano fare i missionari.

Alcuni sentimenti che si registrano oggi nella società, sembrano analogie o almeno molto simili a quelli vissuti in quel passato che fu il preludio della Seconda Guerra Mondiale. Lei che li ha vissuti, crede che ci possa essere il rischio che le cose possano precipitare nuovamente?

Io credo di si, perché è un subbuglio. Non si capisce più nulla in politica. Si vede che c’è una crisi che non si sa come sfocerà, soprattutto le persone come me che non sono politici. Anche io mi domando: chissà come finirà questa crisi in Italia?

Qual è il segreto della sua longevità?

Nessun segreto, ho avuto una vita ordinaria. Giorno per giorno. Come sono arrivato a 100 anni? Non lo so. Non ho mai fumato, ho provato solo qualche volta

Tornando indietro rifarebbe tutto quanto come lo ha fatto?

Certo, certo. Mai ho avuto nessun pentimento. Io dico sempre che la vita è come una scalata ad una montagna. Ho trovato difficoltà sia nel salire che nello scendere ma per fortuna ho in contrato Cristo. Proprio negli anni della scuola apostolica, nei cinque anni di ginnasio, sono entrato in contatto con i padri missionari che ci guidavano, ci confessavano, e io ho avuto la fortuna di incontrarmi con Cristo. Certo anche prima di partire facevo la comunione però da ragazzo e non comprendevo bene. Man mano che si cresce si cresce anche nella fede. Ho avuto la fortuna, fin da adolescente, di leggere dei bei libri su Cristo come ad esempio “Pratica di amar Gesù Cristo” di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, “L’imitazione di Cristo” e altri ancora, tutti questi libri mi diedero luce, mi diedero spinta ad incontrarmi con Cristo. Lui mi ha accompagnato sia nel salire, quando dice “io sono la luce del mondo chi segue me non cammina nelle tenebre”, e sia quando, una volta divenuto sacerdote, sono disceso quando i superiori mi hanno mandato in tante parti nelle nostre case per esercitare il mio ministero. Prima a Penne, poi a Oria, poi a Nicastro in Calabria e in tanti altri posti.

In che modo è stato missionario?

Facendo quello che le nostre regole dicono. Innanzitutto nei seminari e poi nelle diverse missioni popolari alle quali ho preso parte, in Sicilia, in Puglia, in Campania. Noi andavamo per 15 giorni e predicavamo nelle case, nelle famiglie, durante delle riunioni.

Qual è il suo consiglio per i giovani?

Di avere una guida. Una guida buona. Anche io ho avuto una guida. Mi confidavo con il confessore nelle difficoltà, lui mi dava consigli, frenava qualche volta il mio entusiasmo o mi spronava. Ogni giovane quindi deve affidarsi ad una guida. La prima guida sono i genitori, ma poi anche aprirsi ad un sacerdote nelle difficoltà.

Il saluto di padre Vincenzo Tirabovi sembra ispirato da un suo coetaneo, don Luigi Sturzo, che in quell’appello che fu il manifesto del Partito Popolare Italiano lo rivolgeva a tutti gli uomini…

…essere liberi e forti.

*  grazie alla collaborazione di Vincenzo Paticchio (addetto stampa arcidiocesi di Lecce)