“La Chiesa non ha paura di imbrattarsi con il sangue degli altri ma deve saper consolare, confortare e, laddove è possibile, mettere in piedi. Non può compiere il miracolo della guarigione – anche Gesù non guarì tutti i malati – ma dev’essere capace di dare speranza a chi sente che la propria vita è diventata inutile o la società lo scarta”. Lo afferma il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute della Cei, in una videointervista al Sir a margine del XX convegno nazionale “Uno sguardo che cambia la realtà. La pastorale della salute tra visione e concretezza” che si svolge a Roma, fino a domani, per iniziativa dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute.
“Quello della salute è un problema attuale, che interessa tutti”, evidenzia il cardinale, notando come “la sofferenza, la malattia può bussare alla nostra porta e dobbiamo essere capaci di guardarla in faccia e affrontarla. E, come fanno alcuni, di sentirla come amica”. “La Chiesa – prosegue – non può non interessarsi del malato, anche perché il mandato che diede Gesù quando non fu più presente in questo mondo è stato quello di annunciare il Vangelo e guarire i malati. Ecco perché dove c’è un uomo che soffre la Chiesa non può mancare”. Per Montenegro, “l’attenzione della Chiesa sta soprattutto in questo: non considerare la persona che è a letto un malato ma un uomo che ha una malattia. Un uomo con tutta quella ricchezza e povertà che porta con sé”. Secondo l’arcivescovo, “la risposta migliore di Dio all’uomo che soffre è il crocifisso. Noi abbiamo un Dio segnato dalla sofferenza, un Dio che capisce la sofferenza. Un Dio che riusciamo a trovare anche là dove ci sono delle piaghe”. “È duro il discorso della sofferenza, neppure a Gesù è piaciuto tant’è vero che ha chiesto che gli fosse tolta”, osserva il cardinale, sottolineando che “però poi accettò la volontà di Dio”.